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Sindrome della capanna: come aiutare bambini e adolescenti

di Giulia Foschi - 18.05.2020 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
La voglia di continuare a rimanere nel proprio rifugio è detta sindrome del prigioniero o della capanna: non è un vero e proprio disturbo, ma una risposta associata a una condizione particolare collegata a un lungo periodo di clausura

In questo articolo

La sindrome della capanna e come uscirne

Dopo due mesi di lockdown non tutti sono stati pronti e scalpitanti all'idea di uscire di casa. Stiamo parlando della cosiddetta sindrome della capanna.

Perché si sta bene a casa

Le ragioni sono diverse: il recupero di un ritmo lento, la condivisione di tempi e spazi con figli e familiari, la scoperta di piccoli piaceri quotidiani, il senso di protezione delle quattro mura domestiche che abbiamo imparato ad apprezzare in questo periodo, a fianco del timore per quello che ci aspetta là fuori e per quanto il futuro, così incerto, ci riserverà.

Che cosa è la sindrome della capanna

La voglia di continuare a rimanere nel proprio rifugio è detta sindrome del prigioniero o della capanna: non si tratta di un vero e proprio disturbo, ma di una risposta associata a una condizione particolare collegata a un lungo periodo di clausura, come appunto la pandemia del Coronavirus. Ne parliamo con la Dottoressa Anna Guerrini Usubini, psicologa clinica dell'IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano.

Come reagire: adattamento e flessibilità contro la sindrome della capanna

"Il timore e la paura in una simile condizioni sono più che normali – rassicura la Dottoressa -. Il Coronavirus è a tutti gli effetti un evento traumatico, e come tale necessita di comprensione e interpretazione. Non dobbiamo rinnegare la paura, ma accettarla e iniziare a riprendere in mano la propria vita un po' per volta, seguendo le indicazioni delle autorità e imparando ad ascoltarsi, osservando come ci si sente quando si ricomincia ad uscire di casa. Le parole chiave sono adattamento e flessibilità: l'essere umano è in grado di rimodulare i propri comportamenti a fronte di situazioni nuove. L'importante è non aspettarsi di ritrovare tutto esattamente come l'abbiamo lasciato, ma al contrario essere pronti a incontrare un ambiente mutato e a mettere in atto azioni diverse".

La ripartenza dei bambini

Aiutarsi con:

  • rituali
  • comunicazione
  • rassicurazione

"I bambini, più di tutti gli altri, hanno bisogno di rituali.

Quindi, così come durante il lockdown molti hanno trovato il modo di organizzare la giornata scandendo ritmi e impegni, anche la ripresa dovrà ricreare dei nuovi schemi. Altrettanto fondamentali la comunicazione e la rassicurazione: inutile far finta di niente, i bambini capiscono tutto. Spiegate bene loro la situazione, ovviamente utilizzando un linguaggio comprensibile, e non smettete mai di rassicurarli: devono percepirsi in un ambiente sicuro, a casa come a scuola o all'esterno. In questo giocheranno un ruolo importantissimo anche gli insegnanti, quando la scuola riprenderà, e con essa le relazioni sociali alle quali tutti, bambini inclusi, abbiamo dovuto rinunciare in questo periodo".

Come combattere la sindrome della capanna: i bisogni degli adolescenti

"Per i ragazzini il lockdown è stata una prova dura, e la ripartenza, con mille precauzioni da tenere a mente, non lo sarà di meno. Per gli adolescenti è vitale il rapporto con il gruppo dei pari, il contatto fisico, la scoperta, il gruppo, l'affermazione di sé, della propria identità. Per questo, in loro sarà molto forte la voglia di correre fuori: fate in modo che siano consapevoli dell'importanza delle regole da rispettare. Questa è un'occasione per rafforzare in loro il senso di responsabilità, la consapevolezza che i comportamenti di tutti hanno delle conseguenze sull'intera comunità".

Sindrome della capanna: i genitori

"Fondamentale in questo momento, per gli adulti, è far tesoro di quello che si è imparato in questi mesi, così da affrontare al meglio la ripartenza superando la paura della fuoriuscita dal rifugio domestico. Che cosa abbiamo scoperto o riscoperto in questo tempo? Un interesse, una passione, il senso del tempo, delle relazioni, ad esempio. Ora, perché dovremmo tornare per forza al ritmo frenetico di prima? Cerchiamo di mantenere, nei limiti del possibile e compatibilmente con gli impegni di lavoro, ciò che di buono questa condizione di costrizione ci ha offerto".

L'attenzione al senso e alle piccole cose

"Non perdiamo nemmeno l'attenzione alle piccole cose: che sia parlare con i figli o ritagliarsi un momento tutto per sé (anche per fare attività fisica in casa), non lasciamo cadere queste nuove abitudini, se abbiamo scoperto che ci fanno stare bene. Per superare un evento traumatico è fondamentale dargli un senso, inserirlo all'interno della propria vita con un significato: questa esperienza ci ha permesso di riflettere, di chiederci che tipo di persone vogliamo essere e che vita vogliamo avere. Questo è il punto da cui ripartire: ora sta a noi rimettere insieme i pezzi, riordinare le cose dopo una folata di vento che ha buttato tutto all'aria. Non dobbiamo cancellare quello che è stato, ma prenderne atto e ricostruire quello che avevamo con una forma nuova grazie all'integrazione di un evento di rottura ma anche molto significativo nella vita di ciascuno di noi".

L'INTERVISTATA

La Dottoressa Anna Guerrini Usubini è psicologa clinica dell'IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano.

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