Il mutismo selettivo nell’ultima edizione del DSM 5 è stato inserito tra i disturbi d’ansia. Di fatto è un blocco della parola che si manifesta in contesti sociali in cui ci si aspetta che il bambino parli.
Il bambino con mutismo selettivo vorrebbe parlare, ma non riesce?
Proprio così. Le parole gli si fermano in gola e lui non riesce a farle uscire. Di solito succede per la prima volta con l’ingresso alla scuola dell’infanzia, ma a volte anche dopo, a partire dalla scuola primaria.
Come si fa a capire se è mutismo selettivo oppure semplice timidezza?
Di solito appare abbastanza chiaro soprattutto ai genitori in quanto un bambino solo timido qualche parola comunque la dice. Se, invece, il bambino è interessato da mutismo selettivo a scuola o all’asilo non parla mai o sussurra poche parole, a bassa voce. In pratica, il disturbo è l’espressione più vistosa del disagio emotivo che il bambino vive quando gli altri bambini o gli insegnanti si aspettano che lui parli. (Potrebbe interessarti l'articolo su Yoga per bambini)
Ci sono ipotesi che invece sostengono che l’origine possa essere neurobiologica cioè legata a un problema che coinvolge il cervello e non l’emotività…
E’ vero che esistono queste ipotesi, così come ce ne sono altre che ritengono sia legato a un poco efficace apprendimento del linguaggio, tuttavia la comunità scientifica internazionale si rifà al DSM 5 che lo inserisce tra i disturbi d’ansia.
Ci sono fattori che predispongono al disturbo?
In primo luogo il temperamento del bambino: poco estroverso, taciturno, spesso (anche se non sempre) timido. C’è poi la familiarità ovvero una storia di genitori timidi, che tendono all’isolamento e all’ansia sociale e che quindi offrono un modello non proprio ideale per l’interazione sociale attraverso il linguaggio.
L’atteggiamento dei genitori ha un suo peso?
Sì, se la mamma (o il papà) sono molto ansiosi, fanno sentire al bambino che il suo mutismo è preoccupante o riprovevole la situazione peggiora. Non bisogna insistere affinché il bambino parli. Chi ha questo problema tende già a provare vergogna, imbarazzo, a essere mortificato dalla sua stessa impotenza perché le parole “non escono”: l’atteggiamento del genitore può molto, sia in bene che in male.
Qual è l’atteggiamento migliore che i genitori dovrebbero tenere?
Mostrarsi tranquilli, gestire l’ansia e non porre l’accento sul problema, non insistere affinché il bambino parli quando non ci riesce, per non trasmettergli il pericoloso messaggio di ritenerlo responsabile di quanto accade. Ma anche il ruolo e il comportamento delle insegnanti è di fondamentale importanza, visto che nella stragrande maggioranza dei casi è proprio a scuola che questi bambini non parlano.
Quali sono le cure e le prospettive?
Innanzi tutto bisogna intervenire tempestivamente: prima si inizia a lavorare sul problema maggiori sono le possibilità di controllarlo. Va detto che un bambino colpito da mutismo selettivo nel tempo potrebbe diventare un adolescente ansioso, perché appunto il disturbo d’ansia di fatto potrebbe persistere. Le cure dipendono dall’età del bambino: prima dei sei anni si ricorrere alla terapia indiretta principalmente attraverso il cosiddetto “parent training”. Si lavora, cioè, con i genitori per insegnare loro a rapportarsi con il bambino nel modo giusto e a diventare per lui “mediatori linguistici” efficaci e rassicuranti. Dai sei anni in avanti si può invece agire anche sul bambino, utilizzando prevalentemente la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Intervenire il prima possibile impedisce che il bambino perda fiducia in se stesso, con quel che ne può conseguire per la qualità della sua vita.
Che cosa dovrebbero fare le insegnanti?
Le insegnanti dovrebbero essere preparate da uno psicoterapeuta attraverso il cosidetto “teacher training” sia alla comprensione del mutismo selettivo sia a rapportarsi con il bambino a livello relazionale e didattico , esattamente come è importante che lo siano i genitori.
Idealmente lo specialista che segue il bambino e i genitori dovrebbe intervenire anche sugli insegnanti, recandosi a scuola.
Cosa si deve fare in prima battuta quando un bambino manifesta il problema?
In prima battuta è il pediatra a essere consultato e a stabilire che non si tratta di un ritardo nell’apprendimento del linguaggio o di timidezza ma di mutismo selettivo. A questo punto il bambino viene indirizzato dal neuropsichiatra infantile o dallo psicologo, a cui spetta porre la diagnosi definitiva. Le cure sono sostanzialmente di tipo psicologico: solo in casi selezionatissimi, con bambini grandicelli, a volte si ricorre per brevi periodi a terapia famacologica il cui uso si sa è comunque controverso. Il punto dolente sta nel fatto che la psicoterapia sul bambino, il parent training e l’intervento sugli insegnanti sono tutti purtroppo a carico della famiglia. L’esborso economico è importante e può ostacolare la possibilità di curare il bambino.
Quanti sono i bambini con mutismo selettivo?
Si ipotizza che in Italia i bambini con mutismo selettivo siano circa 40 mila, in un rapporto maschi femmine di 1 a 2. In realtà è probabile che il dato sia sottostimato perché ci sono casi che sfuggono alla diagnosi e altri in cui la diagnosi viene posta in maniera errata, confusa con altri disturbi d’ansia.
A chi rivolgersi per un aiuto?
L’Associazione italiana mutismo selettivo (A.I.Mu.Se.) accoglie genitori di bambini interessati dal problema con lo scopo di diffondere e migliorare la conoscenza del disturbo. Ne fanno parte anche psicoterapeuti che studiano e curano la manifestazione. Sono presenti anche genitori che possono condividere con gli altri le loro esperienze così come insegnanti che possono dare indicazioni su come gestire la didattica del bambino mutacico. Contattando l’associazione si possono avere i nominativi degli specialisti che si occupano di mutismo selettivo più vicini alla propria città.
Nel FORUM di nostrofiglio.it puoi chiedere consiglio ad altri genitori