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Allattamento al seno: l'amico dell'ambiente

di Valentina Murelli - 29.11.2019 - Scrivici

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Sempre più studi confermano che il latte artificiale comporta costi ambientali più elevati. Ma attenzione a non far ricadere sulle scelte delle singole donne il peso della difesa ambientale: devono essere i governi i primi a sostenere di più l'allattamento materno.

Oltre che alla salute di mamme e bambini, allattare al seno fa bene anche all'ambiente. Lo dicono i risultati di sempre più studi, ricordati di recente in un editoriale firmato sul prestigioso British Medical Journal (BMJ) da un gruppo di attiviste della Human Milk Foundation inglese, tra le quali Natalie Shenker, ricercatrice dell'Imperial College di Londra.

Il primo punto sottolineato nell'editoriale riguarda il pesante impatto ambientale dell'industria alimentare, e in particolare della produzione di latte, visto che l'ingrediente fondamentale della maggior parte delle formule è proprio il latte vaccino in polvere. Si stima che occorrano circa 4700 litri di acqua per produrre un kg di latte vaccino in polvere. Altri ingredienti possono essere oli vegetali come l'olio di palma, che ha innegabili effetti sull'ambiente in termini di deforestazione, perdita di biodiversità, aumento delle emissioni di gas serra rispetto alle foreste naturali.

Queste materie prime devono essere convogliate verso gli impianti di produzione – solo una cinquantina nel mondo, secondo quanto riferito dal BMJ – e da qui il latte artificiale deve infine essere distribuito a tutti i punti vendita. Significa un flusso continuo di trasporti, con le relative emissioni di CO2, il principale gas serra. E ancora: il latte formulato ha ovviamente un suo packaging, che si tratti di bottiglie di plastica, latte di metallo o contenitori di cartone, in quantità immense. Uno studio condotto nel 2009 – e da allora la produzione mondiale di latte artificiale è aumentata – ha stimato che ogni anno finiscono nella spazzatura oltre 364 mila tonnellate di carta e 86 mila tonnellate di metallo provenienti da contenitori di latte formulato.

Infine, ci sono da considerare i costi domestici dell'uso di latte artificiale: le formule in polvere, infatti, devono essere preparate con acqua portata ad ebollizione e poi raffreddata a non meno di 70° C. Le autrici dell'editoriale stimano che nel solo Regno Unito, il costo energetico di questo riscaldamento per le famiglie che utilizzano latte artificiale per tutto il primo anno di vita dei bambini sia pari a 1,5 milioni di chilogrammi di CO2.

Più o meno l'equivalente energetico della ricerca di 200 milioni di cellulari.

Al contrario l'allattamento al seno richiede poche risorse (giusto l'apporto energetico aggiuntivo necessario alle mamme che allattano), non produce rifiuti (o ne produce molto pochi) e comporta risparmi per i sistemi sanitari, visti gli effetti positivi sulla salute di mamme e bambini. Inoltre tende ad allontanare la ricomparsa delle mestruazioni, riducendo il numero di assorbenti utilizzati dalle donne.

Complessivamente, si stima che allattare al seno per sei mesi un bambino comporti un significativo risparmio in emissioni di CO2: circa 95-153 kg in meno rispetto alla nutrizione con formula. Sempre nel Regno Unito, se tutti i neonati fossero allattati al seno per sei mesi, il risparmio di emissioni sarebbe pari a quello che otterrebbe rimuovendo dalle strade da 50mila a 77500 auto in un anno.

Insomma, i vantaggi ambientali del latte di mamma sono innegabili, ma questa non deve diventare l'ennesima scusa per attribuire ulteriori responsabilità alle donne e alle loro scelte, senza chiamare in causa la politica e la società. Il punto è che in una società che rema spesso contro l'allattamento materno – per esempio non dando il giusto sostegno alle neomamme subito dopo il parto o al momento del ritorno al lavoro – l'allattamento al seno non può essere considerato sola responsabilità materna.

“Si tratta – scrivono le autrici sul BMJ – di una responsabilità sociale alla quale dobbiamo contribuire tutti”. Serve un approccio integrato, che comprenda maggiori investimenti nella formazione dei medici, in modo che siano più pronti a sostenere le neomamme in difficoltà, nell'assistenza a livello territoriale da parte di operatrici specializzate, nell'accompagnamento alla nascita, per garantire ai futuri genitori (anche ai papà) un'informazione accurata. E servono, più in generale, cambiamenti culturali in grado di rimuovere la miriade di ostacoli che possono incontrare le donne che desiderano allattare.

Forse, le ragioni ambientaliste possono dare una spinta in più in questa direzione.

Senza dimenticare la necessità di chiedere anche all'industria del latte artificiale di fare la sua parte, per ridurre il più possibile l'impatto ambientale delle sue produzioni.

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