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Autolesionismo e sofferenza, quando il dolore dei ragazzi è "senza voce"

di Elena Cioppi - 13.01.2021 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Autolesionismo negli adolescenti, perché succede e come possono aiutarli i genitori? Abbiamo intervistato uno psicoterapeuta per parlare di giovani e dolore.

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Il caso di cronaca che vede come protagonisti due ragazzi di Cernusco sul Naviglio (MI), che si sono sfregiati il volto per "saggiare la loro soglia del dolore" ha aperto nuovi scenari e un acceso dibattito sul perché preadolescenti e adolescenti arrivino a farsi del male con atti autolesionistici e su quali siano i segnali da cercare, dal punto di vista dei genitori, per indagarne i malesseri. L'autolesionismo negli adolescenti non è un tema che può essere approfondito in poche battute e il singolo caso, quello del diciassettenne e della quattordicenne che si sono sfregiati il viso ad altezza delle labbra (in una macabra connessione col personaggio di Joker di Batman), non è ovviamente generalizzabile. Ne abbiamo parlato con Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta e Presidente della Fondazione Minotauro di Milano, per capire meglio i contorni di questa storia. La conclusione dell'esperto la anticipiamo in prima battuta, perché è fondamentale: per capire i figli adolescenti l'unico modo è aprirsi all'ascolto di quello che hanno da dire, anche se fa male (ai genitori in primo luogo). Nella storia dei due ragazzi di Cernusco, i quali prima hanno raccontato di essere stati aggrediti e poi di aver provato quasi per gioco a tagliarsi, un po' "per vedere l'effetto che fa", la parola centrale secondo Lancini è dolore. Una sofferenza spesso taciuta da chi la prova, non riconosciuta da chi gli sta intorno, in una gerarchia che sale dalla famiglia di origine fino all'agenda politica che inquadra la categoria come non necessaria agli scopi economici del paese. 

Il Covid-19 ha, ovviamente, amplificato tutto: il lockdown li ha chiusi in casa, la didattica a distanza li ha separati dai loro amici. In questo quadro, episodi come quello di Cernusco sul Naviglio possono diventare sistematici e non soltanto un campanello d'allarme.

Ecco cosa ne pensa Matteo Lancini in questa intervista in cui abbiamo discusso con lui di autolesionismo negli adolescenti e dei suoi significati profondi. Tutti da ascoltare.

Autolesionismo negli adolescenti, un grido di malessere silenzioso

"Il tema dei tagli sul corpo è molto ampio e non può essere generalizzato, perché la valutazione del singolo caso è fondamentale per la terapia. Ma, nel racconto dei ragazzi di Cernusco è centrale la parola dolore, che ricorre spesso nelle storie di ragazzi e ragazze che si provocano tagli sul corpo".

Secondo Matteo Lancini, che con la Fondazione Minotauro segue su più livelli progetti di sostegno rivolti agli adolescenti e alle loro famiglie, tagliarsi è un comportamento anestetico. "Succede perché il dolore fisico e il taglio in sé danno forma e allo stesso tempo limitano il dolore mentale. In questo senso è usato quasi come un antidolorifico, come un anestetico che parte da un malessere interno e si propaga su determinati comportamenti che quel malessere tendono a zittirlo". Nel caso dei due ragazzi di Cernusco venuti alla ribalta per il loro gesto (non si sa se occasionale o sistematico) si tratta poi di un "progetto di coppia", che apre scenari anche legate alle dinamiche di gruppo le quali non devono essere sottovalutate.

Sulle forme di autolesionismo e significato

Non esiste una gerarchia quando si parla di autolesionismo, ma ai fini della terapia bisogna valutare il "tipo" di taglio. E le domande che il terapeuta si pone sono spesso legate alla sua entità, oltre che alla frequenza e alle sue ragioni. "Il self-cutting cosa esprime? Quanto è lontano dall'idea di suicidio? Dal punto di vista clinico il taglio ha diversi significati da cercare e collocare nella storia del singolo ragazzo". Lancini riporta che, soprattutto nelle adolescenti, si ritrova uno schema di tagli che corrisponde ognuno a una sofferenza ben precisa.

"Col taglio si fissa il dolore sul corpo e in questo modo la sofferenza mentale viene bloccato"

Come se si trattasse di un'azione che cristallizza il malessere sul corpo e non più solo nella testa.

Sulla pandemia e il suo effetto tra gli adolescenti

In tanti hanno provato a contestualizzare l'episodio dei ragazzi di Cernusco al momento contingente, ovvero quello della pandemia. Ma, come ha confermato Lancini, i disagi in questa categoria si sono solo acuiti con il distanziamento sociale, non sono comparsi all'improvviso. "Con la didattica a distanza, ad esempio, alcuni malesseri sono peggiorati: non molti pensano a quanto sia difficile per un ragazzo mettersi davanti a uno schermo, esporre così l'intimità di casa propria". La conseguenza è che, nei casi in cui il malessere esistesse già prima, gli adolescenti tendono a prendere due strade: fare male agli altri oppure a se stessi. 

"Nel primo caso tendono a reagire all'invisibilità in cui sono caduti mostrandosi come possono, sovraespondosi. Le risse organizzate, come racconta la cronaca recente, sono un esempio lampante di azioni che puntano a riprendersi lo spazio sociale e le attenzioni in un modo plateale". Sono azioni che spesso non fanno male a nessuno ma mettono in scena il malessere in un modo quasi coreografico.

"In un momento come questo", ci ha detto Lancini, che su questi temi ha anche pubblicato un libro dal titolo "Psicopatologia e psicoterapia evolutiva" (Raffaele Cortina editore, scritto a più mani con Loredana Cirillo, Tania Scodeggio, Tommaso Zanella) "è impossibile pensare che la pandemia non abbia conseguenze negative su bambini, adolescenti e ovviamente adulti.

Ma è necessario, da parte di questi ultimi, pensare al futuro dei giovani, dargli uno spazio sociale e politico. Si deve fare un passo in avanti per ammettere che gli adolescenti non sono stati trasgressivi più di altri nella situazione pandemica, non sono gli untori.

Se appunto vogliono attirare l'attenzione spesso tendono a fare del male a loro stessi, non agli altri. 

Autolesionismo e adolescenti, il ruolo dei genitori

Diventa centrale in questo senso il ruolo dei genitori, che spesso non si sentono in grado di cogliere i segnali anticipatori di certi comportamenti autolesionistici. Ma i segnali, a tutti gli effetti, sono impossibili da comprendere senza il dialogo. "I genitori pensano sempre di cogliere sempre dei segnali nascosti di disagio di ragazzi che non parlano, non dicono come si sentono", ci ha detto Matteo Lancini. "Il taglio d'altronde è un modo per comunicare una sofferenza proprio non parlando". Ma non si tratta di una questione di incapacità da parte dei genitori di capire i figli: spesso, semplicemente, non solo non pongono loro le domande giuste ma evitano proprio di farle perché hanno paura di una risposta difficile da gestire.

"I genitori devono fare domande dirette. Indagare tutti i giorni se c'è qualcosa che non va, anche a rischio di scoperchiare un vaso di Pandora. Non ci sono segnali a svelare la verità, ma questa viene fuori con domande e stimoli precisi".

Spesso gli adolescenti si sentono attaccati e non capiti quando provano a parlare di cose che li fanno stare male. "L'accoglienza e l'apertura dei genitori in questo senso aiutano i ragazzi ad aprirsi. Se sanno di avere davanti un adulto disposto ad ascoltare il proprio dolore, qualsiasi forma esso abbia, saranno più propensi a farlo" ha concluso Lancini.

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