Perché il mio compagno ha due papà? Ecco come rispondere a questa domanda
Tra le molte domande che i bambini pongono ai propri genitori, ce n'è una che potrebbe cogliere particolarmente impreparati: quella sull'omogenitorialità, che può sorgere se a scuola o nel gruppo sportivo c'è un bambino o una bambina figli di una coppia o una persona omosessuale. Perché il mio compagno o compagna ha due papà (o due mamme)? I consigli dello psicologo e psicoterapeuta Federico Lupo Trevisan su come rispondere a questa domanda delicata.
Le preoccupazioni delle famiglie omogenitoriali
Il momento dell'ingresso alla scuola dell'infanzia e primaria è ad ogni modo fonte di preoccupazione per i genitori omosessuali, poiché i figli e le figlie non sono ancora in possesso degli strumenti per affrontare eventuali domande. «Non tanto quelle dei coetanei, ma quelle degli adulti che il più delle volte inconsapevolmente possono metterli in difficoltà. Ecco perché tendono a fornire ai figli una sorta di kit di strumenti, come risposte o situazioni tipo che potrebbero accadere. Poi con piacere osservo che spesso tali preoccupazioni sono smentite dalla prova dei fatti».
Una seconda preoccupazione è che «negli ambienti che frequenteranno la loro forma di famiglia possa essere rappresentata, riconosciuta come famiglia che esiste e non ignorata o taciuta».
Figli di genitori omosessuali: benessere a rischio?
Non allarmiamoci più del dovuto di fronte a questa domanda: i figli di genitori omosessuali, infatti, non sono una "categoria" più fragile di altre. «In questi bambini, il confronto con i pari non genera confusione o problemi di autostima, ma semplicemente le stesse difficoltà che possono riguardare tutti gli altri. E superabili normalmente se la famiglia e gli adulti di riferimento donano al bambino quella "base sicura" enunciata da John Bowlby: il bambino riconosce chi gli vuole bene e sa che in quel luogo troverà conforto qualora dovesse incontrare delle avversità nel corso della sua esplorazione del mondo».
I dati ci dicono poi che non sono più soggetti di altri ad atti di bullismo, anche se quando questi si verificano sono talvolta legati alla natura della loro famiglia di provenienza.
Le domande più frequenti dei bambini
Nei bambini della scuola dell'infanzia e primaria c'è una forte curiosità, ma priva di malizia. «Sono ad esempio attratti dalle differenze fisiche (il colore della pelle, gli occhiali ecc) e certamente anche da ciò che diverge dalla propria esperienze di famiglia».
- Come fai senza papà/mamma?; Dov'è tuo papà/mamma? È morto/a?. Sono domande dettate dalla voglia di conoscere e non destabilizzano chi deve rispondere. «I bambini possono anche esprimere perplessità che talvolta porta a litigi: è capitato che a una figlia di due papà una compagna dicesse che era impossibile che non avesse una madre, perché doveva pur essere uscita dalla pancia di qualcuno. Non è semplice spiegarle che questa donna non abbia mai svolto il ruolo materno».
- Com'è vivere con due mamme/papà?. Quando la conoscenza tra i bambini è più consolidata, le domande entrano nei dettagli ma non sono percepite come inopportune. «Quando sono un po' più grandi, possono chiedere di chi sono figli biologici; o spesso vogliono sapere della vita quotidiana: qual è la mamma che ti porta a calcio, qual è il papà che ti fa fare i compiti; com'è essere figlio di due papà/mamme? Domande serene per chi le riceve, anche perché dal loro punto di vista la loro vita è esattamente uguale agli altri».
Insegnare il confronto
I confronti (e talvolta scontri) tra bambini sono inevitabili e normali, ma si risolvono da soli e sono quasi sempre inseriti in ambienti accoglienti ed aperti.
«Somiglianze e differenze tra bambini stimolano la loro curiosità, sempre legittima. Quella che gli psicologi chiamano "educazione alla pace" insegna a esprimere ogni domanda con rispetto, senza essere intrusivi, usando parole gentili. Capitano così anche episodi che fanno riflettere: come un bambino che, quando conobbe i nonni della sua compagna con due papà, rimase colpito dal fatto che fossero un nonno e una nonna e non due nonni maschi. Si immaginava che l'albero genealogico della sua amica sarebbe stato coerente con il fatto di avere tutti parenti stretti maschi».
Le domande degli adulti
Ad essere in realtà più rischiose sono le domande che possono provenire dagli adulti: genitori di altri bambini, insegnanti, educatori o allenatori sportivi. «Per un bambino sentirsi dire da un adulto (che può anche essere una figura significativa) "Non è possibile avere due papà" o "Una mamma ci deve essere per forza" può ferire, anche perché non si sente attrezzato a rispondere come invece di fronte a un coetaneo. Sono episodi spesso involontari o agiti da chi conosce poco i bambini e le loro storie. Può capitare però anche che in classe alcuni insegnanti provino a fare finta che questa situazione non esista: una forma di indifferenza che è altrettanto rischiosa, perché il bambino non si sente visto».
Le difficoltà degli adulti di fronte a questo tema
«Nelle formazioni a gruppi di genitori e insegnanti la richiesta di consigli è dettata dalla volontà di non sbagliare approccio» continua l'esperto. «Certo però non si rivolgono a me le persone che hanno ostilità o fobia nei confronti di queste famiglie. Le domande principali sono "Cosa devo chiedere?"; "Come devo raccontare questa cosa in classe?" o chiedono consigli di libri da inserire nella libreria di classe.
A volte capita che gli insegnanti siano in difficoltà nei confronti dei genitori che non vorrebbero che essi affrontassero il tema: per queste persone, anche solo spiegare la condizione familiare del bambino equivarrebbe a inculcare nei loro figli idee a favore dell'omogenitorialità».
Come spiegare a mio figlio perché il suo compagno ha due papà
I consigli per affrontare questo tema con i bambini:
- Chiedere è importante, ma come? Per promuovere la conoscenza reciproca, la curiosità è sana. «Importante però sapere come chiedere: la domanda sfacciata, l'affermazione inopportuna o il commento non richiesto è qualcosa che ferisce».
- È lecito dire "non lo so". Con questa, ma anche altri tipi di minoranze si può dire al proprio figlio che non si conoscono tutte le risposte, piuttosto che rispondere in modo avventato o peggio pregiudizievoli. Così, alla domanda «perché la mamma della mia compagna porta il velo o perché il mio compagno ha due papà?», si può rispondere: «non lo so: possiamo chiederglielo insieme.
- Dividete i piani generazionali. Lasciate che i bambini se la cavino tra di loro. «A vostro figlio o figlia permettete di fare tutte le domande che vogliono al loro compagno o compagna. Se voi genitori avete dubbi su come affrontare il tema e volete sapere la storia del bambino per raccontarla al meglio a vostro figlio, parlatene tra adulti. Poi naturalmente è fondamentale il dialogo intergenerazionale, ma con i propri figli».
- State sul piano di realtà. Gli insegnanti preoccupati di apparire pro o contro l'omogenitorialità, devono ricordarsi di essere legittimati (ma anche tenuti) a raccontare i fatti. «Suggerisco loro di raccontare almeno a livello fenomenico il fatto che questo compagno o compagna esiste (non è negabile) e che la sua famiglia è così composta. Senza aggiungere giudizi di valore».
- Usate parole appropriate. Parole non ingenue, ma semplici. «Con i bambini non ha senso parlare di mamma sociale e mamma biologica, papà genetico o non genetico: sono tecnicismi che interessano contesti specifici come quelli medici e legali. Basta parlare di mamme e papà, termini quotidiani che sono immediatamente comprensibili. Ricordandoci poi che non esiste il papà che fa la mamma o la mamma che fa il papà».
L'intervistato
Federico Lupo Trevisan, psicologo e psicoterapeuta, collabora con i servizi di psicologia di vari Istituti scolastici ed effettua consultazioni per enti pubblici e privati. Svolge attività clinica e gestione dell'emergenza psicologica ed è formatore e supervisore in ambito educativo e sociosanitario nell'area della disabilità e grave marginalità. Profondo conoscitore delle tematiche omogenitoriali, collabora da tempo con l'Associazione Famiglie Arcobaleno. È coautore, insieme a Elena Buday, di "Non Succede per Caso. Percorsi omogenitoriali tra desideri e realtà" (Franco Angeli, 2018).
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