Cinquant'anni fa per la prima volta la madre le indicò chi era il suo vero padre, che non aveva voluto riconoscerla. Lei aveva sei anni. Adesso il Tribunale di Ravenna ha accertato dall'esame del Dna che era veramente così e che la probabilità di relazione 'padre-figlia' è vicina al 100%.
È accaduto a un'operaia 56enne di Ravenna, la quale dopo la sentenza del tribunale, ha fatto causa al padre per i danni patrimoniali e non, subiti dato che l'uomo non l’ha voluta mai identificare come figlia naturale e che, a suo dire, ha negato quel tenore di vita che le spettava.
La donna ha chiesto all'uomo, un imprenditore oggi ultrasettantenne, circa quattro milioni.
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Secondo il quotidiano Il Resto del Carlino, nell'atto di citazione sono rilevate le condizioni di indigenza che hanno caratterizzato l'infanzia della figlia e quelle di agio del padre naturale, che «ha sempre goduto di un’alta condizione economico-sociale» con «livelli eccellenti di vita e di lavoro».
L'imprenditore e la madre si erano conosciuti quando quest'ultima aveva 16 anni: lui, appartenente a una famiglia di imprenditori, era più grande. La relazione tra i due andò avanti per diverso tempo. Infatti anche quando la ragazza rimase incinta, l’uomo continuò a farle visita, pur non volendo riconoscere la figlia.
Secondo l’atto di citazione quando la madre divenne maggiorenne, poi l’uomo interruppe qualsiasi rapporto «presumibilmente al fine di evitare scandali».
A sei anni la bimba aveva saputo chi era il padre, mentre a 16 anni aveva iniziato a cercarlo. Solo recentemente, dopo 40 anni, l'operaia ha intrapreso il percorso per il riconoscimento e per la richiesta dei danni.
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