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Bambini e integrazione: tutti i consigli ai genitori per favorirla

di Rosy Maderloni - 06.12.2019 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
Nella scuola italiana un alunno su 10 è straniero. In una società sempre più multietnica, favorire una corretta interazione tra bambini è un’attività che deve essere svolta dentro e fuori da scuola. Abbiamo chiesto alcuni suggerimenti pratici per genitori a Lucrezia Pedrali, formatrice Centro per la mondialità

In questo articolo

Marcos per due mesi sarà assente da scuola: è andato in Perù con la famiglia a trovare i nonni ma quando tornerà ha permesso di portare qualche foto in classe e raccontare del suo Paese. Joussef e Janna, invece, il sabato frequentano un’altra scuola, quella araba, dove fanno religione e imparano a scrivere da destra verso sinistra: agli amici hanno insegnato a dire i numeri fino a 10, ma anche a tradurre qualche parolaccia. Per la festa di Natale della scuola, invece, la mamma di Sabrina ha promesso che farà assaggiare a tutta la classe un dolce tipico delle terre della sua infanzia, la Romania.

BAMBINI A SCUOLA: ESPERIENZE DI INTEGRAZIONE

La scuola italiana è multietnica da un tempo che forse è bene ricordare: secondo i dati raccolti da Vinicio Ongini nel suo libro edito nel 2019 per Laterza “La grammatica dell’integrazione. Italiani e stranieri a scuola insieme” si parla di 18.474 alunni stranieri già nell’anno scolastico 1989-1990 nelle scuole italiane: allora, il primo Paese di provenienza era il Marocco. A trent’anni di distanza la quota è salita a 850.000, in grande maggioranza si tratta di studenti nati in Italia, con la Romania primo Paese per origini. Secondo i dati del ministero dell’Istruzione, università e ricerca relativi (MIUR) sull’anno scolastico 2017-2018 (gli ultimi disponibili) in Italia un alunno su 10 è straniero (la percentuale esatta è 9,7%), con un aumento di oltre 11mila bambini rispetto al 2015-2016. Studiare è un diritto universale e frequentare il sistema scolastico italiano è garantito a tutti, pur in situazione di irregolarità della propria posizione: questo lo prevede il Regolamento sull’Immigrazione (PR 394/1999: art. 45). L’Italia del futuro? Sarà multiculturale.

SCUOLA E STRANIERI: LINEE GUIDA PER L’INCLUSIONE DEGLI ALUNNI

Ma cosa intendiamo dicendo “straniero”? In che termini si può parlare di integrazione e iniziative per una scuola inclusiva? E’ sempre il Ministero a dare le linee guida di possibili percorsi progettuali per il territorio:

  • corsi diffusi di lingua italiana,
  • la conoscenza culturale reciproca in classe attraverso laboratori musicali o teatrali,
  • iniziative contro la dispersione scolastica nelle zone a forte processo immigratorio.

Dietro a un bambino “straniero”, però, ci sono storie diversissime che ne caratterizzano in maniera unica i tratti identitari: le vie dell’interazione, dunque, non possono che diventare infinite, come infiniti sono i modi in cui i genitori possono aiutare i propri figli a metterla in pratica. Ce ne parla Lucrezia Pedrali, formatrice del Centro per la mondialità (CEM), associazione per la riflessione e la diffusione dell’intercultura nelle scuole e nella società civile.

L’INTEGRAZIONE SPIEGATA AI BAMBINI: DECOSTRUIRE IL CONCETTO DI “STRANIERO”

“Straniero è una parola che va decostruita – premette la formatrice e insegnante -: erroneamente si considerano stranieri i figli di coppie miste come i figli adottivi. Occorre poi fare molti distinguo delle situazioni in cui un bambino anagraficamente straniero vive: la storia familiare può portare a un inserimento riuscito o meno nella società di riferimento. Il fenomeno che può riguardare tutti questi bambini è l’invisibilità fuori dalla scuola. L’esclusione si gioca su più fronti, ma tutto parte da qui: i bambini costruiscono la loro idea del mondo nella loro dimensione affettiva più significativa, nelle loro relazioni con gli adulti di riferimento nella vita, babbo e mamma tra tutti. Sta a loro riconoscere la complessità e la pluralità rendendola evidente anche ai figli. C’è un’ecologia del linguaggio, una pedagogia del gesto che sempre va tenuta presente dagli adulti nel loro ruolo educativo, proprio perché i bambini sono portatori della visione del mondo dei loro genitori”.

Da cosa cominciare quindi? “Dall’uscire dalla propria zona di sicurezza per conoscere la realtà circostante – spiega Pedrali -. Uscire proprio in senso fisico e fare esperienze legate ad altre culture: davanti ad altri luoghi di culto ci si può fermare e nominarli, così come di fronte a cibi, vestiti, linguaggi. Scoprire il proprio territorio in questa chiave permette di capire che ciò che per me è importante, i miei cibi, i miei luoghi sacri, le mie usanze, è importante anche per gli altri”.

E’ un lavoro di valorizzazione, che non vuol dire omologazione, che deve partire dagli adulti su cui i bambini potranno affidarsi”.

COME SPIEGARE AI BAMBINI L’INTEGRAZIONE: CONSIGLI FUORI DA SCUOLA

L’integrazione non può esaurirsi dentro i cancelli di scuola e prima del suono della campanella. “L’adulto che arriva ai cancelli di scuola o al parchetto saluta – continua Pedrali -. Anche se nessuno lo fa, bisogna essere i primi a salutare: pronunciare un semplice “ciao” vuol dire riconoscere come essere umano. Alzare gli occhi e guardarsi intorno invece che girare col telefono in mano è un modo per accorgersi di chi abbiamo intorno e instaurare relazioni. E’ bene, inoltre, rompere le situazioni in cui al parchetto, ad esempio, i genitori si raggruppano per “etnia”.

Nel pratico quindi un genitore come può stimolare il proprio bambino al parco giochi o in altri luoghi di ritrovo?

“Sì ai giochi in cui i bambini possano sentirsi raccontare di storie, filastrocche di tradizioni diverse, sì ai libri che si possono condividere e guardare insieme scritti in alfabeti diversi, imparare qualche parola, come ci si saluta, appunto, in altre lingue e suggerire che giocando si possono scoprire legittimità nelle differenze”.

BAMBINI E INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI STRANIERI: ATTENZIONE ALLA TV

Nel processo di accompagnamento dei piccoli alla comprensione e alla messa in atto di cosa vuol dire davvero integrazione, non sottovalutiamo nessun aspetto. Ad esempio, il calcio mediato dalla tv può creare grande confusione nella testa di un bambino, che da solo non saprà condannare episodi di razzismo allo stadio senza l’intervento dei genitori. “Il linguaggio non è neutrale mai – aggiunge la formatrice e insegnante -, un’ecologia della comunicazione è importante per veicolare i messaggi giusti. Occorre controllare cosa guardano i nostri bambini perché l’immaginario mediatico è ancora escludente dal punto di vista della comunicazione. Quando il mondo del calcio diventa cronaca con gli episodi di razzismo, la condanna da parte del genitore dovrebbe diventare un insegnamento.

Ma non può finire qui. Bisogna lavorare sul quotidiano abituando i bambini all’idea che il tifo non è un insulto. Su questo va aggiunto che l’etica non si insegna, si pratica”.

Come si può mettere in pratica questo suggerimento?

“Un esercizio potrebbe essere quello di inventare degli slogan per la propria squadra che non prevedano insulti per la squadra avversaria. Va bene sostenere l’aspetto agonistico, ma senza che vi sia un’offesa diretta a all’altro. Ovviamente questo è un esercizio che l’adulto deve compiere per primo su se stesso, questo vale quando si assiste alla partita dei figli al campetto oppure davanti alla tv quando gioca la Serie A. L’adulto che controlla se stesso, che valorizza la categoria della pluralità saprà trasmettere una stessa forma di vivere una passione come lo sport”.

L’ACCOGLIENZA DEI BAMBINI STRANIERI PASSA DALLE FESTE DI COMPLEANNO

“Ogni genitore è libero di organizzare la festa invitando chi vuole – incalza Lucrezia Pedrali – però si può preferire di invitare tutti i bambini, tutta la classe. Quando l’invito è rivolto a tutti, allora può anche aver senso trasmettere la comunicazione in classe, in quanto la scuola è per tutti. Ma se non si decidesse di invitare tutti, allora il genitore dovrebbe contattare singolarmente le famiglie e la scuola, che per definizione accoglie, dovrebbe chiamarsi fuori da dinamiche altre. La festa, inoltre, dovrebbe essere organizzata in modo che sia accessibile a tutti gli invitati. Un aspetto che spesso mi capita di osservare è questo: genitori italiani invitano volentieri a casa bimbi stranieri ma non accettano che il proprio figlio frequenti la casa di un bambino straniero. Questo è penalizzante ed è una di quelle situazioni che rendono i bambini invisibili”.

BAMBINI STRANIERI E ACCOGLIENZA: IL CIBO CHE AVVICINA E FAVORISCE L’INTEGRAZIONE

“L’alimentazione costituisce un tassello importantissimo dei riferimenti culturali degli individui – aggiunge la formatrice CEM – al punto da diventare fattore escludente: alcune mamme straniere. Ad esempio, ritirano i figli dal servizio di mensa scolastica per paura o perché non accettano che la cucina della scuola possa piacere di più rispetto a quella di casa.

Questo è un rischio che porta a una scuola vissuta “a pezzetti”. A scuola, come fuori, invece potrebbero crearsi situazioni di conoscenza reciproca proprio a partire dai piatti delle proprie tradizioni. Alle feste di compleanno, ad esempio, sì ai panini al prosciutto perché l’integrazione non va per sottrazione”.

Con qualche accortezza, è possibile organizzarsi al meglio anche in questi gesti piccoli ma significativi. “Posti in un vassoio separato, è giusto proporli perché sarebbe ipocrita non farlo. Però si può chiedere alla mamma del bambino straniero di portare un falafel, ad esempio, da proporre come alternativa, o un dolce tipico così da creare un momento di incontro ulteriore. Questo può valere per la festa scolastica e come spunto per conoscere le festività e le ricorrenze altrui. Senza forzare, il consiglio è in generale quello di alimentare una curiosità attraverso quella conoscenza che permette il riconoscimento dell’altro. Interazione, più che integrazione. Entrare in comunicazione per quello che si è”.

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