“Passa tutta la notte nel suo laboratorio, e ha vinto l'ambito Premio Nobrick. E la sua instancabile ricerca e i suoi studi di un’altra dimensione spaziale le hanno consentito di mettere a punto un metodo per scambiare le parti del corpo a proprio piacimento”. Un curriculum vitae di tutto rispetto, quello della professoressa C. Bodin. La quale ai propri successi può aggiungere anche un primato decisamente notevole: è infatti la prima figura femminile al quale la Lego, notissimo marchio di giocattoli, assegna una professione intellettuale di alto livello nei suoi 81 anni di storia. Perché finora si erano viste, al massimo, l’infermiera, la bibliotecaria, la pattinatrice, la surfista, la ragazza pon-pon, la ballerina, la cameriera, la sposa, la fatina, la star di Hollywood, la sirenetta, la vergine della foresta… insomma, i soliti stereotipi di genere che, soprattutto negli ultimi anni, hanno attirato sulla società danese più di una critica. Soprattutto in occasione di una nuova linea studiata appositamente per le bambine (storicamente i mattoncini colorati sono stati studiati solo per i maschietti), che ha fatto cadere la Lego dalla padella nella brace, perché nonostante il claim pubblicitario che prometteva di “portare una significativa esperienza di gioco alle ragazze di tutto il mondo”, le nuove figure si sono rivelate differenti dall’abituale standard e, secondo Maia Weinstock di Scientific American “rosa e infiocchettate”.
Ora, con l’arrivo della professoressa Bodin, la Lego sembra aver fatto ammenda: un passo importante non solo a livello ideologico nella lotta per la parità dei sessi, ma anche e soprattutto per la formazione dei bambini. Perché numerosi studi concordano sul fatto che il rafforzamento degli stereotipi di genere attraverso i giocattoli influenza il mondo in cui i piccoli vedono loro stessi, facendoli sentire non adatti a certi ruoli.
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