Quattro morti di parto in ospedale in una settimana, più una avvenuta in casa, a termine gravidanza. Cinque vicende tragiche, che ora suscitano angoscia e preoccupazione. Inevitabile pensare ad Anna, Angela, Marta, Giovanna e Giusy, morte tra Natale e Capodanno a Verona, Torino, Bassano del Grappa, Brescia e Foggia - e in 4 casi insieme ai loro bambini - senza chiedersi se non stia succedendo qualcosa di strano, se partorire non sia diventato oggi più pericoloso di ieri. Abbiamo cercato di fare chiarezza e di capire quanto e perché, oggi, si muore di parto in Italia.
1. Perché così tanti decessi in una sola settimana? C'è qualcosa che non va?
La tragica serie di decessi è impressionante, e in molti, come il presidente del Codacons, dubitano che in gioco ci sia soltanto il caso. Eppure dati e statistiche raccontano proprio questo: che il caso c'entra eccome e che non ci sono estremi per dichiarare che ci sia in corso un'emergenza.
"No, non c'è nessun eccesso anomalo di mortalità" rassicura subito Serena Donati, responsabile di un progetto pilota dell'Istituto superiore di sanità (Iss) sulla sorveglianza della mortalità materna in italia. "Stiamo parlando di un fenomeno che nel nostro Paese è molto raro: ogni anno si verificano in Italia circa 50 casi di morti materne, 10 ogni 100mila nati vivi. Anche se c'è una certa variabilità regionale - dai 5 casi ogni 100mila della Toscana ai 13 della Campania - è un numero assolutamente paragonabile a quello di altri Paesi avanzati, come Francia e Gran Bretagna".
"Il punto, però, è che gli eventi rari possono distribuirsi in maniera capricciosa. Può benissimo accadere che si verifichino quattro decessi in una settimana, e poi magari nulla per due o tre mesi".
2. Ma perché sono morte queste donne, con i loro bambini? E soprattutto: questi decessi potevano essere evitati?
È ancora presto per rispondere a questa domanda. "Le cause precise le conosceremo soltanto dopo aver raccolto e analizzato tutta la documentazione clinica e aver svolto indagini approfondite" commenta Donati. Le prime indiscrezioni e i primi dati fanno pensare a situazioni molto diverse tra loro, relative per esempio a cause infettive, embolia polmonare, complicazioni legate a un'obesità preesistente.
Certo è che per far luce su quanto accaduto il Ministero della Salute ha già inviato o sta inviando negli ospedali coinvolti -Spedali Civili di Brescia, San Bonifacio di Verona, Sant'Anna di Torino, San Bassiano di Bassano del Grappa - gli ispettori dell'Unità di crisi permanente, istituita lo scorso marzo proprio per indagare su eventi di particolare gravità che si verifichino in ambito sanitario. Obiettivo: capire se questi tragici eventi fossero assolutamente inevitabili o se ci siano stati difetti organizzativi o veri e propri errori medici.
Qualcosa comincia già ad emergere relativamente al caso di Angela Nesta, morta al Sant'Anna di Torino il 26 dicembre scorso. Secondo quanto ha dichiarato lo stesso ministro, Beatrice Lorenzin, non risulterebbero responsabilità dirette dell'ospedale in questione. Lorenzin, però, ha anche sottolineato come, sia per questo sia per gli altri casi, le indagini riguardino non solo il momento del parto, ma anche tutta la fase precedente all'arrivo in ospedale. "Probabilmente lì c'è necessità di un rafforzamento del monitoraggio e della sorveglianza di gravidanze che possono essere a rischio sul territorio". Suggerendo che potrebbe esserci stata qualche criticità nella gestione di queste gravidanze nel complesso, o perlomeno che questo è punto su cui bisogna assolutamente concentrare l'attenzione.
3. In generale, quali sono le principali cause di mortalità materna, oggi, in Italia?
Secondo i dati raccolti dall'Istituto superiore di sanità e resi pubblici a inizio 2015, la causa principale di morte materna nel nostro paese è l'emorragia post parto (52% dei casi). Seguono i disturbi ipertensivi della gravidanza (19%) come eclampsia e preclampsia, e i fenomeni di tromboembolismo.
In un numero minore di casi, la morte è da attribuire a cause indirette, a fattori concomitanti alla gravidanza, come malattie cardiovascolari o tumori, che vengono aggravati dal fatto di aspettare un bambino.
Ogni anno si verificano in Italia circa 50 casi di morti materne, 10 ogni 100mila nati vivi. Un numero paragonabile a quello di altri Paesi avanzati
4. Ci sono particolari fattori di rischio?
"Partiamo sempre da un presupposto, e cioè che stiamo parlando di numeri molto piccoli" avverte Donati. Detto questo, sì; le indagini dell'Iss hanno rivelato che alcune condizioni sembrano associate a un rischio di morte in gravidanza o per parto un pochino più alto.
"Per esempio l'età materna superiore ai 35 anni". Un dato di cui tenere conto, considerato che l'età medie alla quale le donne italiane arrivano al primo parto si sta alzando sempre più, e che - pur restando in assoluto una minoranza - sono sempre di più le donne che affrontano una gravidanza dopo i 38-40 anni.
Non solo: "Anche il parto cesareo rappresenta un fattore di rischio" spiega Donati. "In effetti, spesso il cesareo viene considerato dalle donne più sicuro di quello vaginale, ma i dati ci dicono che non lo è". Anche se ovviamente bisogna considerare che una donna che arrivi al cesareo per indicazioni mediche appropriate è già probabilmente più a rischio proprio per la condizione che l'ha portata al cesareo stesso.
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vai alla galleryPotrà sembrare meccanico, non naturale. La soluzione alla quale si ricorre quando piccolo e mamma sono in difficoltà. Ma è vita. E' la venuta al mondo di una nuova esistenza.
Altro elemento di rischio è il basso livello di istruzione (sotto la licenza media), probabilmente perché questo si traduce in una maggior difficoltà ad accedere ai servizi giusti o a seguire correttamente eventuali indicazioni del medico. Oppure perché si vivono situazioni lavorative particolarmente difficili, che impediscono di prendersi cura bene della gravidanza.
5. Le morti materne che si verificano in Italia sono tutte inevitabili o qualche vita potrebbe essere salvata?
"Anche qui partiamo con una premessa" dichiara Donati: "Il rischio zero non esiste. Qualche caso di mortalità materna in gravidanza, durante il parto o subito dopo si verificherà sempre, nel nostro paese ma anche in tutti i paesi avanzati, perché qualche complicanza inevitabile e improvvisa potrà sempre esserci". Un punto sottolineato anche da una nota congiunta delle principali associazioni del settore, Sigo, Aogoi e Agui: "Esiste ed esisterà sempre una quota di mortalità materna, che è anche 'influenzata da fattori di rischio diventati molto frequenti, come la gemellarità, l'età avanzata, l'obesità".
Però c'è sicuramente margine di miglioramento: si stima che, anche nei paesi più avanzati, circa la metà delle morti materne possa essere evitata. In Italia sono più o meno 25 casi all'anno. Ed è proprio questo l'obiettivo di progetti come quello guidato da Serena Donati.
"Aver istituito un sistema di sorveglianza per raccogliere dati non è stato fine a sé stesso. I dati servono per capire quali sono i punti critici e intervenire di conseguenza. Anche perché bisogna considerare che stiamo parlando di eventi di grande complessità".
6. Dunque chi aspetta oggi un bambino deve preoccuparsi oppure no?
"Con l'allarmismo mediatico di questi giorni probabilmente è inevitabile preoccuparsi, ma davvero bisogna mantenere la calma" raccomanda Donati, che suggerisce un paio di punti sui quali riflettere:
- L'Italia è uno dei Paesi con più bassa mortalità materna al mondo. Da noi, partorire è un evento tendenzialmente sicuro;
- l'Italia sta facendo molto per migliorare ulteriormente le cose. "Stiamo lavorando a Linee guida nazionali sull'emorragia post parto, abbiamo erogato un corso di aggiornamento per operatori su questo argomento, ne faremo presto un altro sui disturbi ipertensivi in gravidanza". Insomma, il personale sanitario è sempre più informato.
7. C'è qualcosa che una donna può fare, oggi, per ridurre al minimo i suoi rischi?
Il primo consiglio è cercare di informarsi il più possibile, per esempio sul punto nascita in cui intende partorire. È vero che i quattro decessi avvenuti nell'ultima settimana del 2015 hanno coinvolto ospedali grandi, avanzati, in cui avvengono tanti parti all'anno, ma l'indicazione di scegliere proprio questo tipo di strutture rimane valida. I punti nascita più attivi, infatti, hanno più esperienza nel gestire i casi critici e le eventuali emergenze.
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Proprio per questo motivo, già dal 2010 era stata disposta la chiusura dei punti nascita che registrano meno di 500 parti all'anno, anche se attualmente ne rimangono aperti ancora 123.
Il secondo consiglio è quello di chiedere sempre al medico tutte le informazioni possibili relative al proprio caso, senza accontentarsi di spiegazioni veloci o rassicurazioni sbrigative. Spesso ci si avvicina con timidezza agli operatori sanitari, ma non bisogna mai temere di chiedere, informarsi, anche insistendo se qualcosa non è chiaro e se c'è il dubbio che non si stanno ottenendo tutte le informazioni e l'assistenza necessarie. Che, ricordiamolo, sono un diritto.
Certo, sono anzitutto gli operatori che dovrebbero farsi carico di questa fatica: una donna con più di 40 anni, obesa, magari con diabete, che desideri un figlio e non riesca ad averlo, per esempio, non dovrà essere inviata troppo sbrigativamente a una procedura di fecondazione assistita, ma dovrà essere accuratamente informata sui rischi possibili di un'eventuale gravidanza.
Se però questo non accade, se si ha la percezione che le visite siano troppo veloci e le spiegazioni troppo approssimative, non bisogna avere paura di insistere. Ed eventualmente di chiedere una seconda opinione ad altri esperti.
Terzo consiglio: valutare l'opportunità della vaccinazione antinfluenzale. Molte donne la temono (e molti operatori non la consigliano abbastanza), ma in gravidanza è sicura e può salvare delle vite. Alcune delle morti materne registrate negli anni passati dal Sistema di sorveglianza dell'Iss, infatti, sono state causate da complicanze dell'influenza. Morti che con una vaccinazione potevano essere evitate.
Richieste di nuove indagini, dubbi di malasanità, allarmi sulle carenze di organico e proposte di nuovi test: tutte le reazioni alle ultime morti di parto.
Come prevedibili, sono state molte le reazioni suscitate dalla tragica sequenza di morti materne e fetali o neonatali che si è verificata nell'ultima settimana del 2015.
Molti si chiedono se non si sia trattato di malasanità, o addirittura di una sorta di "effetto feste". L'ipotesi è che, tra Natale e Capodanno, ospedali sotto organico non siano stati in grado di garantire un'assistenza adeguata: a questo proposito, Federconsumatori ha espressamente chiesto al Ministero della Salute di "sapere i dati sul personale in servizio negli ospedali nei quali sono avvenuti i decessi". E alla Camera, alcuni deputati hanno avanzato la richiesta di ulteriori indagini sulle circostanze relative ai cinque decessi e, in generale, sulla sicurezza dei punti nascita italiani.
Ovviamente, prima di parlare di un effetto feste e di responsabilità dirette (che almeno nel caso di Torino le ispezioni ministeriali tendono per il momento a escludere) occorre attendere tutti i dati e le documentazioni del caso, però c'è anche chi punta il dito contro possibili criticità generali dell'organizzazione del sistema sanitario. Sempre la nota congiunta delle associaizoni di settore Aogoi, Sigo e Agui, per esempio, sottolinea il tema fondamentale della carenza di organico, "alla quale spesso non si sa come far fronte o che viene tamponata con personale interinale, che non permette la creazione di un'équipe multidisciplinare, prerequisito per una cura ottimale delle urgenze''.
E c'è anche chi, come la ginecologa Rosalba Paesano dell'Università La Sapienza di Roma, ha suggerito che potrebbe bastare un semplice test genetico, quello per le trombofilie ereditarie e malattie affini, da eseguire dopo un prelievo del sangue, per prevenire molti casi di mortalità materna. Non tutti, però, la pensano così. "Si tratta di un esame sicuramente utile se la donna presenta già fattori di rischio o condizioni che possano far sospettare malattie di questo tipo" precisa Donati. "Al momento, però, non c'è nessuna prova scientifica che giustifichi l'estensione a tappeto di questo test a tutte le donne in gravidanza. Non ci sono dati ufficiali che dicono che servirebbe davvero a ridurre la mortalità materna". E anche la Società italiana di emostasi e trombosi, con una lettera inviata al Ministero della salute, ha preso le distanze da questa proposta.
Aggiornato il 05.01.2016