Che zika sia un virus pericoloso per le donne incinte o le coppie che desiderano avere un bambino è ormai ben noto.
Sappiamo bene che, se contratto durante la gravidanza, può causare al feto microcefalia ed altre anomalie congenite, al punto che le organizzazioni sanitarie sconsigliano alle donne incinte o che pianificano una gravidanza i viaggi nelle zone a rischio, in particolare in America centrale e meridionale.
Sotto attacco, nel feto, sono in particolare le cellule staminali neuronali, cellule progenitrici dei neuroni, che sono particolarmente abbondanti durante la vita in utero, quando il cervello del bambino si sta sviluppando. Ora, però, i risultati ottenuti nei topi da alcuni ricercatori americani suggeriscono che queste cellule possano essere bersaglio del virus anche negli adulti.
Lo ribadiamo: i dati raccolti finora riguardano solo animali da laboratorio, ma sembrano significativi e di sicuro definiscono un nuovo ambito di ricerca, che sarà da approfondire nei prossimi mesi.
In pratica, Joseph Gleeson e colleghi, della Rockfeller University di New York, hanno scoperto che in topi adulti infettati con zika, il virus attacca in modo specifico le cellule staminali neuronali. Negli adulti, queste cellule sono presenti in numero limitato, ma con l'importante funzione di sostituire neuroni che vengono danneggiati o uccisi durante il normale processo di invecchiamento.
Poiché negli adulti le cellule staminali neuronali sembrano coinvolte in processi di apprendimento e memoria, non si esclude che l'infezione da zika possa, a lungo andare, provocare effetti negativi anche negli adulti, e in particolare un aumento del rischio di depressione o difficoltà nella memoria a lungo termine. Per stabilire se questo accade davvero, occorreranno nuovi studi dettagliati e relativi a uomini e donne infettati dal virus.
Resta comunque assodato che, negli adulti, zika è associato a un lieve rischio di sviluppare la sindrome di Guillain-Barrè, una malattia neurologica dovuta al fatto che il sistema immunitario della persona colpita attacca i nervi della persona stessa.
Lo studio di Gleeson e collaboratori è pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell.
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