Potrà forse sembrare strano, addirittura disturbante, ma il tempo dei bambini non è qualcosa che interessa soltanto genitori, educatori o pedagogisti: è anche oggetto di studio per gli economisti, che se ne occupano molto – e sempre di più – per capire le ricadute a lungo termine per i singoli e le comunità di come appunto questo tempo viene impiegato.
"Il tempo dei bambini di oggi rappresenta il valore che la società di domani potrà avere da loro" spiega a nostrofiglio.it l'economista Saveria Capellari, professoressa all'Università di Trieste, che nel novembre del 2019 è stata tra i partecipanti dell'ultima edizione del Festival Fin da Piccoli del Centro per la salute del bambino (CSB) di Trieste, dedicata appunto al tempo delle bambine e dei bambini.
I primi anni durano per tutta la vita
“Molti modelli economici spiegano che il capitale umano, inteso come insieme di abilità, competenze e conoscenze di una società, è all'origine della ricchezza delle nazioni” afferma Capellari. “D'altra parte le abilità, competenze e conoscenze di una società dipendono da quelle dei singoli individui e quello che la ricerca anche economica ci dice è che tutto ciò comincia a costruirsi fin da piccoli. Anzi: i modelli economici oggi confermano che per ottenere risultati significativi a lungo termine è molto importante investire nei primi anni di vita”.
Del resto è proprio nei primissimi anni di vita – parliamo della fascia da zero a due/tre anni – che si gettano le fondamenta neurobiologiche delle nostre competenze cognitive (non solo leggere, contare, ricordare, ma anche prestare attenzione, elaborare piani e così via) e socio-relazionali, perché proprio in questa finestra è massima la plasticità del nostro cervello e la nostra capacità di apprendere dalle esperienze.
Lo diceva già Maria Montessori: “In passato si pensava che il bambino piccolo non avesse una vita psichica, mentre oggi ci rendiamo conto che l'unica parte di lui che è attiva durante il primo anno di età è il cervello”.
Oggi i risultati delle neuroscienze confermano, e non a caso uno dei libri della psicologa americana Alison Gopnik, tra le massime studiose di sviluppo cognitivo dei bambini, si intitolava Lo scienziato nella culla (tradotto in italiano come Tuo figlio è un genio).
L'importanza dell'asilo nido
Ma cosa significa esattamente “investire nei primi anni di vita”? Quali dovrebbero essere gli interventi da attuare per garantire la massima fioritura possibile delle potenzialità del bambino? Sono chiaramente domande difficili, alle quali appunto si è dedicata e si dedica tanta ricerca non solo economica ma anche di psicologia dello sviluppo e di sociologia. Al di là delle difficoltà, però, alcuni punti fermi cominciano a emergere.
Molte indagini per esempio confermano l'importanza di un asili nido di qualità nel promuovere lo sviluppo cognitivo e socio-relazionale dei bambini, in particolare di quelli provenienti da situazioni familiari svantaggiate dal punto di vista socio-economico. A fare il punto della situazione ci ha pensato un articolo pubblicato nel 2018 sulla rivista Medico e bambino dal pediatra Giorgio Tamburlini e dalla ricercatrice Anduena Alushaj del CSB di Trieste: la massa delle ricerche concorda nel concludere che i bambini che frequentano un nido di qualità hanno in questa fascia d'età uno sviluppo cognitivo e linguistico migliore e si dimostrano più collaborativi e meno aggressivi dei coetanei che non lo hanno fatto. Inoltre sembrano mostrare migliori competenze in ambito matematico e linguistico e nelle capacità di concentrazione e cooperazione anche su un periodo più lungo.
Tamburlini insiste sul concetto di qualità: “Parliamo di servizi con educatori che devono avere una solida formazione pedagogica ed essere in costante aggiornamento e in buon rapporto numerico con i bambini e con spazi, arredi e materiali adeguati, funzionali e stimolanti per i piccoli”. E se per molto tempo abbiamo pensato che dovesse essere il governo centrale a farsi carico in modo esclusivo dell'esistenza di questi servizi – che, ricordiamolo, in Italia sono ancora drammaticamente scarsi, tanto che secondo una recente indagine di Save The Children solo un bambino su quattro tra zero e tre anni ha effettivamente accesso al nido – per Tamburlini oggi più che mai dovrebbero essere le comunità locali a diventare vere protagoniste dei servizi per le famiglie.
“Sia pure con il giusto contributo della legislazione nazionale dovrebbero essere i Comuni, magari in collaborazione con aziende e realtà del privato sociale del territorio, a farsi carico della responsabilità di offrire alle famiglie nidi e servizi di qualità, perché questo risponde non solo al diritto del bambino di essere curato nel migliore dei modi, ma anche al diritto/dovere delle comunità di investire in modo efficace sul proprio futuro”.
Ma attenzione: se i servizi sono importanti, non è solo con questi che si affronta la questione del “tempo dei bambini” e del suo “utilizzo ottimale”. Perché quel pieno sviluppo del potenziale del bambino di cui parlavamo non si realizza solo grazie a nidi ben fatti, ma anche e soprattutto attraverso le esperienze che gli vengono offerte nel corso dei primi anni di vita (e più in là) dai genitori, cioè in ambito familiare.
Il giusto tempo per la famiglia
Tanto per cominciare alcuni studi – anche economici (per esempio uno studio pubblicato nel 2014 da Daniela Del Boca, direttrice del Centro di economia della famiglia dell'Università di Torino) – suggeriscono che nei primi anni di vita il tempo passato dai genitori – mamme, ma anche papà! - con i loro bambini conta di più, in termini di promozione dello sviluppo, dei soldi spesi in attività, interventi o altro.
“Ed ecco perché – afferma Tamburlini – oltre che servizi adeguati bisogna chiedere con forza alla politica anche sistemi di welfare che tengano conto di un'idea diversa del rapporto tra lavoro e vita familiare, come accade nel paesi del Nord Europa, dove per esempio dispongono di congedi parentali molto più lunghi dei nostri”.
Cosa vuol dire tempo di qualità
Anche in questo caso, tuttavia, il tempo deve essere “speso bene”. Come? "Si sente spesso parlare di 'tempo di qualità'. Secondo me, questo concetto ha un solo significato: tempo in cui si sta concretamente insieme, ovvero dedicati l'uno all'altro senza essere distratti da email, telefonate o altri pensieri" afferma la psicopedagogista Monica Castagnetti, anche lei tra i relatori del Festival Fin da Piccoli.
Un tempo, in pratica, in cui mamma o papà sono sintonizzati sul bambino: sulle sue caratteristiche uniche, le sue richieste, i suoi bisogni e desideri.
"Quando il bambino è piccino ovviamente ci vorrà più tempo da dedicargli, anche per imparare a conoscerlo e a farsi conoscere" consiglia la pedagogista, sottolineando che all'inizio questo tempo verrà impiegato principalmente per rispondere ai suoi bisogni attraverso il cosiddetto stile genitoriale responsivo. Niente paura: si tratta soltanto di non ignorare o trascurare il piccolo - per esempio non lasciarlo solo quando piange - ma accoglierlo, coccolarlo, rassicurarlo della propria presenza anche quando non si può o non si riesce a fare molto per attenuare il disagio o malessere.
"E al di là dei bisogni – prosegue Castagnetti – si tratta di interagire il più possibile con lui. Un 'trucco' semplicissimo con i piccolissimi è rifare quello che fanno - versetti, piccoli movimenti, espressioni del viso - magari aggiungendo qualche parola di incoraggiamento: oh che bel versetto che hai fatto!". Poi, naturalmente, ci sono le tante piccole-grandi attività che si possono fare insieme: raccontare una filastrocca, leggere un libro (non è mai troppo presto), ascoltare una canzoncina e così via.
"Tutto questo, giorno dopo giorno, aiuta a far sentire il bambino riconosciuto e accettato nella sua identità, riconoscimento e accettazione che in fondo sono la prima forma d'amore e strumento fondamentale per rinforzare la stima del bambino in sé stesso".
In alcuni casi è importante per i genitori acquisire informazione e consapevolezza sull'importanza del “tempo di qualità” da dedicare ai bambini. In questo senso possono fare molto i servizi stessi (nidi, ludoteche, ma anche consultori) o le associazioni, attraverso la creazione di punti di incontro o l'organizzazione di serate di approfondimento, corsi per genitori e così via.
Il tempo di qualità per i più grandicelli
Quando i bimbi crescono, se mamma e papà lavorano, il tempo da passare con loro inevitabilmente si riduce. "Certo, sarebbe opportuno avere un po' di tempo ogni giorno da passare con i figli, ma sappiamo bene che questa possibilità non dipende tutta dai genitori, il che ci riporta all'importanza di un ragionamento ampliato e condiviso sulla conciliazione tra vita familiare e lavorativa" afferma Castagnetti. Se questo non è possibile, è comunque importante che ci sia almeno qualche momento nella giornata in cui, di nuovo, dedicarsi completamente ai bambini senza alcuna distrazione intorno.
"Se per esempio mamma e papà tornano tardi, meglio una cena fredda e al volo per ritagliarsi qualche minuto in più per stare insieme senza l'ansia di dover mettere in tavola il pasto. E naturalmente niente tv e niente cellulari accesi per questo tempo" consiglia Castagnetti, invitando tuttavia a restare sintonizzati sul bambino per cogliere eventuali momenti "difficili" in cui potrebbe avere maggior bisogno della presenza dell'adulto.
Oltre al tempo dedicato da passare con mamma e papà, secondo la pedagogista ci sono almeno altri tre elementi che non dovrebbero mancare nel tempo dei bambini:
1. Il gioco all'aperto, nel parco
"Stare in spazi aperti - aveva spiegato a nostrofiglio.it la pedagogista - è la naturale condizione di vita del bambino, che in questo modo, impara meglio a prendere consapevolezza del suo corpo e dello spazio che occupa e a interagire in autonomia con lo spazio esterno. Tutte funzioni che gli servono per crescere, ma anche per gli apprendimenti futuri di matematica e scienze".
Non solo: stare fuori permette di stare a contatto con la natura, toccando con mano - attraverso il modificarsi delle sensazioni tattili, olfattive e uditive - il trascorrere delle stagioni.
2. Il gioco libero con gli altri bambini
Dai tra/quattro anni in su, la dimensione ideale del gioco all'aperto è quella di gruppo, che tra l'altro permette al bambino di sperimentare e apprendere competenze fondamentali per la vita come il rispetto delle regole o la capacità di negoziazione.
Lo dice un antico proverbio africano ed è ancora più vero oggi, in un mondo caratterizzato da un effetto dirompente del tempo lavorativo dei genitori sul tempo dei bambini.
"Per questo - sottolinea Castagnetti - servono servizi non solo di qualità ma anche flessibili e occorre insistere sempre di più su un ragionamento ampio e condiviso sul tema della conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa. Nel frattempo, un'altra via potrebbe essere quella di recuperare un minimo di vita comunitaria, costruendosi una rete sociale fatta per esempio delle famiglie degli amici, alla quale affidare il proprio bambino quando non si ha modo di portarlo a giocare al parco".
3. Un pizzico di noia
Lo sappiamo bene: il tempo libero dei bambini spesso non è davvero tale perché riempito di impegni (musica, sport, lingue straniere, arte e chi più ne ha, più ne metta) o di attività passive come guardare la tv. "A volte i genitori temono che i figli si annoino, ma bisogna avere fiducia sia nell'utilità di questo sentimento sia nella capacità dei bambini di superarlo" afferma Castagnetti.
"I momenti vuoti servono alla testa a imparare a pensare, per trovare strategie per uscirne, e anche a definire la propria identità. Quando ci si annoia si ha modo di fermarsi a riflettere: chi sono? Cosa mi piace fare? Cosa mi ricarica? Davanti al bambino che dice di annoiarsi la soluzione facile è accendere la tv, ma questo significa spegnere un'opportunità. Una via alternativa è spronarlo a pensare al processo da fare per uscire dalla noia, permettendo alla sua piccola mente di allargarsi ed esplorare nuove possibilità".