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Maltrattamenti in famiglia: che cosa fare per uscirne

di Federica Baroni - 26.02.2015 - Scrivici

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Sono ancora molte le donne che subiscono violenza da parte del marito o compagno. Spesso isolate da amici e parenti, si trovano in una posizione di sottomissione e paura. Dove la violenza non è solo fisica ma anche psicologica, economica e sessuale. La psicologa Luisanna Porcu di Onda Rosa, uno dei centri antiviolenza  della rete D.i.Re  (Donne in Rete contro la violenza), spiega come fare per uscirne.

In questo articolo

​La violenza sulle donne è un dramma ancor oggi attuale. Le statistiche sono agghiaccianti. Le Nazioni Unite stimano che nel mondo una donna su tre abbia subito violenze fisiche o sessuali, nella maggioranza dei casi da parte del partner o di un familiare.
E l'Italia non è certo esclusa da questo fenomeno.


Abbiamo intervistato la psicologa Luisanna Porcu, dell'associazione Onda Rosa di Nuoro, uno dei centri antiviolenza della rete D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), per sapere quali passi bisogna fare per uscire da una situazione di violenza domestica.


1 Capire che si sta subendo una violenza

"Una donna è maltrattata quando subisce dal compagno o dal marito angherie tali che mirano a distruggere la sua personalità. Non si tratta solo di botte e insulti, che potrebbero verificarsi anche durante un litigio in una coppia molto conflittuale, dove però il rapporto dei due partner rimane sullo stesso piano.

Nella violenza sulle donne, invece, il rapporto è sempre asimmetrico: l'uomo è in una posizione di potere verso la compagna e tra i due non c'è alcuna possibilità di dialogo. La donna non può esprimersi liberamente e ha paura. E la violenza non è esclusivamente fisica, ma può essere anche solo verbale (cioè fatta di minacce), economica o sessuale" dice l'esperta.

2 La donna si trova spesso isolata

La donna che subisce violenza è spesso molto sola. Infatti l'uomo violento per prima cosa la allontana dai suoi affetti: dalla famiglia, dalle amiche che vengono spesso denigrate e insultate. E la donna, per evitare liti, inizia a limitare le sue frequentazioni. Così in poco tempo finisce per rimanere isolata.


A questo punto l'uomo inizia a svalutarla, a farle credere che lei da sola non è in grado di far nulla... E dopo un po' anche lei inizia a credere che le parole del marito siano vere.

3 Prendere consapevolezza che un uomo violento non cambia


Spesso per una donna è difficile fare il primo passo per uscire da una situazione del genere. Sia per questa sua situazione di solitudine, sia perché la violenza non è sempre quotidiana, ma è ciclica. Il compagno violento può dire di essersi pentito, che non si comporterà più così, che domani sarà diverso. E una donna, almeno all'inizio, ci crede.

Ma quando capisce che domani non sarà diverso, allora è il momento di agire: prendere il telefono e chiamare un centro anti-violenza.


4 La prima cosa da fare è telefonare a un centro anti violenza

Quando una donna non ce la fa più e ha deciso di parlare con qualcuno delle violenze che subisce è molto importante che lo faccia con le persone giuste. Parlarne con chi non se ne intende può portare a un esito negativo. Amiche, famigliari, medici ecc. non vanno bene: ci vuole un centro specializzato.

Al telefono risponderà un'esperta preparata ad accogliere il vissuto della donna e pronta a indirizzarla sul giusto cammino da compiere.

5 Poi si fissa un colloquio individuale

Dopo una prima valutazione fatta per telefono, si può decidere di fissare un colloquio al centro dove si studia insieme, donna ed esperte, un percorso di uscita dalla violenza.

"Questi colloqui vengono fatti solo con la parte che ha subito violenza, non è una mediazione familiare, dove una coppia conflittuale può chiedere e giustamente ricevere aiuto. Nel lavoro di mediazione familiare ci si rivolge alle due parti come se fossero sullo stesso piano. Mentre in caso di violenza, come abbiamo già detto, le due parti non sono sullo stesso piano. La violenza è un reato molto grave. Perciò si lavora sull'allontanamento della maltrattata.


Qui alle donne vengono dati gli strumenti per potersi realizzare pienamente. In base a desideri e obiettivi personali si individuano percorsi di libertà. Inoltre ogni donna è libera di decidere se denunciare il compagno violento. Non è obbligata, se vuole lo fa se no, no" dice Luisanna Porcu.

6 In caso di pericolo ci sono le case rifugio

Quando una donna decide di porre fine al rapporto, la violenza potrebbe aggravarsi. In questi casi vengono proposte le case rifugio: sono luoghi di protezione, indirizzi segreti, dove le donne possono stare al sicuro, insieme ad altre donne.

7 Se ha dei figli li può portare con sé: basta una dichiarazione di allontanamento

"Le madri possono allontanarsi dal padre violento portandosi dietro i bambini senza necessariamente passare da una denuncia.

Basta una 'dichiarazione di allontanamento', in cui dichiara di doversi allontanare con i figli a causa di una grave situazione. In questo modo la donna si tutela dall'accusa di sottrazione di minore" spiega l'esperta.


8 L'uomo violento è spesso una persona normale e ben inserita nella società

Ma chi è l'uomo che maltratta una donna? Non si tratta di un pazzo, né di un malato. E' quasi sempre di una persona 'normale' con un lavoro 'normale'; non viene da situazioni di disagio e appartiene a tutte le classi sociali.

"Alla base di questi comportamenti c'è un problema culturale e non di sicurezza. I valori familiari, la scuola, anche alcuni programmi televisivi... hanno fatto sì che ci siano ancora squilibri di potere dei sessi a favore del maschio. La società italiana su questo punto è molto arretrata: basti pensare che fino agli anni '60 era legale picchiare la propria moglie".


Inoltre, mentre gli omicidi compiuti da uomini ai danni di uomini negli ultimi anni sono calati, gli omicidi sulle donne, invece, non calano.

Il 2013 è stato un anno nero per i femminicidi, con 179 donne uccise, una vittima ogni due giorni, rispetto alle 157 del 2012. Le donne ammazzate sono aumentate del 14%. A rivelarlo è l'Eures nel secondo rapporto sul femminicidio in Italia. Ottantuno donne, il 66,4% delle vittime dei femminicidi in ambito familiare, hanno trovato la morte per mano del coniuge, del partner o dell'ex partner; la maggior parte per mano del marito o convivente (55, pari al 45,1%), cui seguono gli ex coniugi/ex partner (18 vittime, pari al 14,8%) ed i partner non conviventi (8 vittime, pari al 6,6%).

9 Donne fortissime pronte a rifarsi una vita

Le donne che hanno sopportato anni di violenze, sono donne fortissime e quando riescono a staccarsi dalla violenza, prendono consapevolezza di questa loro forza e sono pronte a lanciarsi in una nuova vita, senza paura. Nonostante il compagno le abbia umiliate per anni dicendogli che non sanno fare nulla, appena si staccano dal marito violento riescono a fare tutto benissimo da sole.

"I risultati delle donne che passano dai centri anti-violenza sono incredibili: si riprogettano una nuova vita e si sentono di nuovo realizzate." dice l'esperta.

10 Nei centri si scopre la solidarietà tra donne in un rapporto finalmente paritario


Nei Centri Antiviolenza che fanno parte della rete D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) le donne sperimentano la solidarietà di altre donne, quelle che già ce l'hanno fatta e quelle che come loro hanno appena iniziato un percorso per uscirne. Inoltre, anche le esperte dei centri, psicologhe e avvocatesse, instaurano una relazione paritaria che aiuta la donna a realizzarsi e a non sentirsi più una vittima.


"Purtroppo esistono anche centri istituzionali di aiuto alle donne che si basano ancora su un rapporto asimmetrico di medico-paziente, dove la donna è la vittima. Invece i centri che aderiscono a D.i.Re hanno sottoscritto la 'Carta nazionale dei Centri Antiviolenza': qui si mette al centro la donna, considerata non vittima, ma 'in stato temporaneo di difficolta'".

Aggiornato il 23.11.2016

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