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'Matrigna' e 'patrigno'? Meglio chiamarli in un altro modo

di Ines Delio - 28.06.2024 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Da tempo, ormai, i termini 'matrigna' e 'patrigno' risultano negativi e fastidiosi: ma come dovremmo chiamarli? Ecco qualche suggerimento

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Perché non piacciono i termini 'matrigna' e 'patrigno'?

Fin dalla nostra infanzia, i termini 'matrigna' e 'patrigno' si sono impiantati nell'immaginario collettivo con un'accezione negativa. Basti pensare all'odiosa matrigna di Cenerentola o al crudele Mr. Murdstone, patrigno del famoso David Copperfield di Dickens. E non se la passano di certo meglio appellativi come 'sorellastre', 'fratellastri' o 'figliastri'. Ma esistono soluzioni linguistiche che si possono adottare in alternativa per definire i nuovi partner di mamme o papà? Scopriamolo.

Come nascono i termini 'matrigna' e 'patrigno'?

Se li osserviamo da vicino, i termini 'matrigna' e 'patrigno' non nascono con un significato negativo. Stando a quanto riporta Treccani:

  • matrigna è una parola del tardo latino, che deriva da mater -tris, 'madre', su un esempio di privignus, ossia "figlio di primo letto". Il termine è utilizzato per indicare la seconda moglie di uomo rimasto vedovo, o comunque risposatosi, rispetto ai figli nati dal primo matrimonio;
  • patrigno deriva dal tardo latino 'patrignus', modellato su matrigna, ed è il secondo (o successivo) marito di una donna rimasta vedova, rispetto ai figli nati nel precedente matrimonio.

Secondo l'Accademia della Crusca, l'esistenza dei nostri due singenionimi (i termini che indicano rapporti di parentela) nel loro significato attuale, si può far risalire al sec. XVIII, ma è molto probabile che il loro impiego, diffuso in singole aree regionali, si sia affermato in tutta Italia solo dopo l'Unità.

Quali termini usare in alternativa a 'matrigna' e 'patrigno'?

Il fenomeno delle famiglie allargate è in costante crescita e da tempo ha determinato rapporti di parentela o affinità a cui però non sembrano adattarsi i termini del lessico tradizionale. Oggi i termini 'matrigna' e 'patrigno' sono stati sostituiti da 'terzo genitore' o 'genitore sociale'. Paolo D'Achille dell'Accademia della Crusca propone ancora un'altra soluzione: "i singoli congenitori potrebbero essere indicati senza particolari difficoltà come compadre e commadre in funzione di appellativi", invitando anche a usare fratello e sorella per indicare sia il fratellastro e la sorellastra, sia il figlio e la figlia del partner della propria madre o del proprio padre.

Ciò che rimane invariato, però, è il compito arduo che spetta al 'genitore acquisito', che spesso rischia di sentirsi un corpo estraneo all'interno del nuovo nucleo familiare, soprattutto nei casi in cui fa fatica a relazionarsi con i figli del partner o della partner.

Cosa vuol dire essere un 'terzo genitore' e come comportarsi?

Oggi le famiglie tradizionali, formate dai genitori e dai loro figli, sono affiancate da altre tipologie familiari, tra famiglie monogenitoriali, ricomposte, adottive o arcobaleno, ognuna delle quali presenta le proprie specificità e problematiche. Nelle famiglie che si formano tra partner separati o divorziati e i loro figli, la figura meno definita è proprio quella di chi un tempo era etichettato come 'matrigna' o 'patrigno', come racconta la psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris, la quale, nel suo libro "Il terzo genitore. Vivere con i figli dell'altro" (Raffaello Cortina Editore)", ha raccolto le preziose testimonianze degli uomini e delle donne che hanno vissuto questa esperienza.

Se da una parte c'è il rischio di impersonare fin dall'inizio il ruolo sgradevole di patrigno o matrigna, dall'altra c'è la paura di non essere tenuto in alcuna considerazione o di essere apertamente osteggiato dai figli del compagno o della compagna, quando non proprio dal partner stesso, se ci si sforza di assumere il ruolo di genitore. C'è poi la questione dell'ex del partner, il genitore legittimo ma separato, che continua ad avere un legame con i figli. Cosa fare, quindi, per imparare a vivere con i figli dell'altro o dell'altra? Il consiglio della psicologa è, innanzitutto, di procedere a piccoli passi, cercando di comprendere gli stati d'animo, le contraddizioni e i limiti di tutti i membri della famiglia.

"È un processo che richiede tempo, sensibilità, pazienza, comprensione e diplomazia - avverte Oliverio Ferraris, in un'intervista a La Repubblica, i rapporti umani sono complessi e ciò che appare all'esterno o a livello epidermico non sempre corrisponde a ciò che le persone sentono interiormente, temono o auspicano".

Terzo genitore e figli del partner: qualche consiglio utile

Per quanto riguarda i problemi che i figli del partner o della partner devono affrontare, il consiglio è di tenerli il più possibile lontani dalle tensioni, senza ostacolare i contatti con i parenti della prima famiglia. Inoltre, anziché ignorare o minimizzare le difficoltà iniziali che si possono incontrare nell'istaurare un rapporto con loro, è sicuramente meglio parlarne e cercare le soluzioni più adatte. Bisogna sempre ricordare che la costruzione di una nuova famiglia richiede tempo, comprensione, pazienza e diplomazia.

"I figli continuano in genere ad avere rapporti anche con il genitore "esterno" il quale può essere single ma anche avere a sua volta una nuova famiglia e altri figli. Con questo genitore c'è spesso un legame affettivo e un rapporto di lealtà che il "terzo" deve riconoscere, rispettare e anche favorire – spiega Anna Oliverio Ferraris – Dal punto di vista dei figli, la nuova famiglia non cancella con un colpo di spugna la precedente e bisogna dare loro il tempo per adattarsi. Ad una fase di entusiasmo iniziale può infatti seguire una crisi che può creare delle difficoltà di convivenza; ma che, se accettata e ben gestita, può anche rappresentare una svolta positiva. Si impara ad accettarsi l'un l'altro e a compiere delle rinunce per andare d'accordo".

Fonti

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