Figli adolescenti e ruolo del padre
In un fortunato proverbio la cui origine è fatta risalire genericamente al continente africano si dice che per crescere un bambino occorre un intero villaggio. Sarebbe bello se accadesse realmente, soprattutto perché significherebbe accettare che gli adulti hanno ruoli distinguibili e ciascuno importante per concorrere all'educazione dei più piccoli. La dimensione del "villaggio" è lontanissima dallo stile di vita urbano nel quale siamo immersi ed entro cui la famiglia odierna si muove: la coppia genitoriale provvede alla crescita dei figli e soltanto come "terzi" subentrano nonni e altri (pochi) parenti. Ma cosa accade quando il papà manca? C'è un'età – l'adolescenza – che necessita particolarmente della figura paterna e quando questa è assente per i motivi più diversi occorre che quel codice educativo sia ugualmente trasferito. Ne parliamo con Massimo Lussignoli, pedagogista e counselor del Centro Psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti.
"Questa situazione è a sé e sarebbe bene capire come mai la mamma è sola – premette il pedagogista - ci sono differenze tra un padre assente totalmente e tra un padre lontano, ma presente fisicamente e che in un contesto di separazione, ad esempio, c'è e può mettere in gioco la sua genitorialità. Generalmente, quando il papà manca è la mamma che mette in gioco il codice paterno".
Codice paterno e codice materno
"Il codice paterno ha a che fare con lo stabilire dei limiti, il dare le regole, il favorire nel ragazzo delle proprie risorse – chiarisce Lussignoli -: quest'area educativa è molto diversa dal codice materno che ha a che fare col soddisfare i bisogni del figlio, con protezione e il nutrimento. Questi aspetti si fanno ricondurre alla divisione tra "paterno" e "materno" in una visione classica della genitorialità: la figura materna resta molto legata alla madre.
I tempi d'intervento di questi due codici sono diversi:
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Il codice materno ha una predominanza nel tempo dell'infanzia, fino ai 10, 11 anni
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Il codice paterno, invece, si rivela con la preadolescenza e l'adolescenza
Certo, non dobbiamo intendere queste fasi con precisione esatta perché le situazioni e i passaggi di crescita sono unici. Ma se dovessimo immaginare gli anni di crescita di un figlio dalla nascita all'età adulta, il codice affettivo materno all'inizio vita è al massimo, mentre quello paterno al minimo perché alla nascita il bambino ha bisogno di protezione, nutrimento e ha bisogno di essere soddisfatto nei suoi bisogni: il piangere, ad esempio, è un segnale per chiedere di occuparci di lui. È possibile assistere ad atteggiamenti tipici di quando il codice materno perdura: se a 20 anni prevale, dobbiamo aspettarci un genitore che organizza i tempi del giovane in funzione dei suoi bisogni senza affacciarsi alle regole".
La figura del padre
"Abbiamo demolito la figura del padre padrone nella nostra società, seppur stiamo ancora facendo i conti con gli uomini violenti, che ci sono ancora – aggiunge l'esperto -. Dobbiamo constatare come la figura del padre sia andata in crisi perché ha fatto fatica a trovare culturalmente un modello di riferimento: ha imparato a riconquistare la forza d'amore a dispetto di forza fisica per un diverso concetto di famiglia affettiva accogliente. Una vecchia canzone, "Sei forte papà", ben incarna questo modello paterno. Ma quale rischio si è posto di fronte a questo cambiamento? Dagli anni '80 assistiamo a un atteggiamento familiare più permissivo: il papà è passato al modello materno e, se per certi versi gli ha permesso di conquistare una maggiore relazione coi figli, si è perso l'elemento normativo della relazione genitoriale, che dà paletti e regole".
"Secondo Franco Fornari, psicoanalista, la mamma mantiene un'aura di dipendenza da parte del figlio, il bambino ha bisogno di perdersi negli occhi della mamma durante l'allattamento e non del papà e può succedere, allora, che il papà nel primo anno di vita si senta frustrato perché non vive questa simbiosi.
Anche lui è un genitore e reclama le sue credenziali ma deve accettarlo, non è possibile la simbiosi con il padre nei primi mesi di vita".
Figli adolescenti: come cambiano
"La preadolescenza e poi l'adolescenza non sono il prolungamento dell'infanzia, ma l'anticamera dell'adultità - continua Lussignoli -. Nella preadolescenza iniziano cambiamenti importanti, i ragazzi si ricollocano nella relazione col genitore, qualcuno con più fatica nelle modalità. Nell'adolescenza il figlio è chiamato a non adeguarsi più ai genitori, a un allontanamento: qui, l'adulto serve, è necessario, e proprio in questa fase solitamente l'adolescente è criticato per vivere in maniera "interessata" la relazione coi genitori".
"L'infanzia è il periodo dove il bambino si adatta alle normative: se qui si riesce a essere chiari e abitudinari, il bambino segue. L'adolescente, invece, tende a saggiare la possibilità che qualcosa la possa scegliere anche lui e assapora il mondo adulto. In questo periodo avviene la rivoluzione del corpo: l'adolescente vede cambiare il proprio corpo senza controllo, il seno cresce e arriva il menarca, per il ragazzo arriva l'esplosione di piacere notturno, iniziano gli innamoramenti 'tosti' e anche l'emotività cambia. Anche la reputazione diventa importante, il non perdere la faccia con gli amici. È inopportuno dire dire a un adolescente "di pensare con la propria testa" perché non possiamo immaginare quanto l'adolescente viva il gruppo dei pari come importante".
Consigli pratici per la mamma sola con un figlio adolescente
"La mamma sola può ricoprire entrambi i codici. Nel momento in cui dà una regola usa il paterno, mentre userebbe il materno se dicesse 'ti vengo a prendere', 'chiamami' ponendosi nel compito di soddisfare un bisogno. Una novità dell'adolescenza è il rituale paterno della paghetta: mentre il codice materno tende a fornire i soldi che servono, la paghetta fornisce più raggio di movimento, conferisce autonomia perché l'adolescente deve fare delle scelte, impara a gestire un piccolo capitale.
La madre deve saper lavorare anche su quelle forme di presenzialismo se tende a correggere perché lo faceva in infanzia ("ti dico io come fare"):con l'adolescente questo non va fatto. Il codice paterno lavora sull'aiutare i figli a mettere in gioco le proprie risorse, non dice come va fatta una cosa.
Esempio pratico di codice paterno: "A un figlio che ha preso 4 a scuola andrebbe risposto: "come pensi di recuperarlo?". Se si dice "domani studi 10 ore finché non recuperi" non si responsabilizza l'adolescente perché questo ordine si sostituisce alla presa di coscienza dei fatti. Il ragazzo va aiutato a sviluppare le sue abilità. Aiutarlo a mettersi in gioco è ributtare la palla nel suo campo, facendo domande sincere, non ironiche: "Hai preso 4, come pensi di organizzarti nel prossimo periodo?". È bene resistere dal dare come prima risposta un consiglio, dal fornire noi la soluzione. Meglio aiutare l'adolescente ad articolare la situazione senza semplificare troppo. Fare domande, non dare risposte. Un altro invito è ricordare di quando si è stati adolescenti solo se è legittimo e se aiuta a recuperare le fatiche che si vivono a quell'età, a sintonizzarsi col figlio. Al contrario, sarebbe male interpretato se si lasciasse fare ai ragazzi quello che vogliono perché anche noi ci siamo passati".
Come fare il bene dei figli
"Ogni figlio discende da due stirpi e ogni figlio deve avere la possibilità di accedere a entrambi gli assi genealogici – continua il pedagogista – e la madre sola, per quanto possa avere motivi per provare rabbia e dolore verso il partner, dovrebbe permettere ai figli l'accesso a questo canale genealogico: chi rema contro in maniera totale vuole il male del figlio. Non possiamo essere indifferenti da chi discendiamo e se lo si nega ai ragazzi crea dinamiche rischiose. Anche a fronte di conflittualità.
Quello che è nella coppia deve restare nella coppia: squalificare l'altro non è corretto e li porta ad avere grosse resistenze a comprendere e a collocarsi nel mondo".
Madre sola: figli maschi e figlie femmine
"Non esiste una visione univoca su eventuali differenze quando una madre sola si interfaccia con una figlia femmina o con un maschio – conclude Lussignoli -. Nel primo caso il confronto tra una donna mamma e una donna che matura può avvenire in uno sfondo di una rivalità che può avere accenti molto diversi (che donna vediamo rispetto a quella che eravamo noi? Come reagire al paragone e vedere la propria bellezza sfiorire?). Ci sono termini che è bene eliminare nel linguaggio tra madre e figlio, che sia maschio o che sia femmina, come "amore mio": appellativi che potrebbero essere utilizzati dal fidanzatino di turno sono invischianti, cioè sono termini rivletaori che si vuole tenere i figli ancora attaccati a noi, in un'età in cui devono "andare". Vanno benissimo, invece, parole di incoraggiamento, fanno parte del codice paterno e spingono a diventare adulti e prendere coscienza delle proprie risorse".
"La mamma sola col figlio maschio potrebbe invece vivere la difficoltà del distacco, del marcare la distanza educativa. Il figlio maschio molto attaccato va regolamentato perché quando i figli maschi non marcano la distanzafanno "strappi" importanti: sciocchezze inaspettate, ad esempio, correndo pericoli perché vogliono dimostrare che sono diventati grandi".
"Che siano maschi o femmine, favoriamo che facciano esperienze all'estero: questo li metterà di fronte alle spigolosità della vita. Ai giovani servono le esperienze, più che le parole".
L'intervistato
Massimo Lussignoli è pedagogista e counselor del Centro Psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti.