Il “mammo” non esiste: perché non usare questa parola
Le parole che usiamo sono specchio della società in cui viviamo e di alcuni pensieri comuni. Ecco perché merita una riflessione l'uso del termine "mammo", che anche di recente ha suscitato polemiche quando è stato associato al compagno della showgirl Belen Rodriguez. Questa parola cosa dice del nostro concetto di genitorialità e che idea trasmette ai nostri figli sul padre? È il caso di utilizzarla? Ne parliamo con la pedagogista Laura Mazzarelli.
Cosa significa mammo
Stando alle definizioni dei dizionari, "mammo" è la declinazione al maschile di "mamma". È un termine - volutamente sgrammaticato - per lo più usato in forma scherzosa che indica un uomo che, nella cura dei figli e nella gestione della casa, svolge ruoli tradizionalmente attribuiti alla donna. Un papà, insomma, che accudisce il proprio bambino e che magari richiede al proprio datore di lavoro il congedo di paternità più esteso possibile per stare con il figlio appena nato. La parola "mammo" però è figlia dei tempi e parla di un cambiamento della società che non è compiuto, ma ancora in atto.
La nascita del mammo
Il termine "mammo" si è diffuso con il sorgere di un nuovo concetto di paternità, non più legata ai modelli patriarcali dei nostri nonni. «In passato - esordisce l'esperta - il ruolo maschile era marginale, spesso un po' distante dal bambino e fortemente autoritario: il padre era così l'elemento normativo della coppia. Oggigiorno i padri non sono più quelle figure severe e incapaci di mostrare i propri sentimenti, ma vogliono partecipare attivamente all'educazione dei propri figli. Stanno lentamente (e finalmente) acquisendo un ruolo di accompagnatori della crescita accanto e al pari delle madri».
Perché non usare la parola mammo
Più coinvolti, più emotivi, desiderosi di condividere il loro tempo con i figli e di supportare la mamma nelle incombenze famigliari: quindi "mammi"? «Quindi semplicemente padri: in italiano la parola esiste. Non si capisce perché se un padre fa il padre - e quindi cambia il pannolino o lava i piatti - deve essere chiamato "mammo".
Sarebbe ora di riconoscere il ruolo della paternità all'interno del percorso di vita di un essere umano». Ci sono almeno due motivi per cui usare la parola "mammo" è sbagliato:
- Femminilizza la figura paterna. «"Mammo" trasmette la visione di un padre ridicolo, del papà "femminuccia". Tradisce l'idea che il padre non possa fare certe cose senza snaturarsi. È quindi la cartina di tornasole del giudizio sociale che si ha nei confronti di un padre presente e consapevole e della considerazione del ruolo maschile e femminile all'interno della famiglia».
- Trasmette ai bambini un'idea stereotipata di femminile. La parola "mammo" poi rimanda ai bambini una visione stereotipata delle mansioni che i papà e le mamme hanno in casa. «Per il bambini il modo in cui il padre tratta e considera la loro mamma in famiglia è l'esempio di come si trattano le donne. Anche le parole fanno il rispetto, ad esempio non diciamo "il papà aiuta la mamma a lavare i piatti", perché implicitamente suggeriamo che sarebbe un compito della donna».
“Mammo”: un termine per resistere al cambiamento
Sembra che i tempi siano abbastanza maturi affinché si aggiorni la nostra idea di paternità. Ma allora come mai ci scappa ancora di dire "mammo"?
- Perché non tutti gli uomini sono pronti ad incarnare tenerezza, condivisione ed empatia. Un po' per mancanza di strumenti emotivi, un po' per pregiudizio, un po' per comodità molti padri sono considerati al massimo degli aiutanti delle madri. Sono ancora pochi gli uomini che si approcciano a quella comunità educante che si scambia consigli e informazioni cui le mamme, in quanto elementi femminili delle coppie, sembrano appartenere a maggior diritto. «All'interno della scuola, per esempio, li si vede ancora troppo poco: vengono ai colloqui solo quando c'è un problema. E invece la scuola può diventare un ambiente di coltivazione della genitorialità, sia materna sia paterna».
- Perché rappresenta una inconsapevole reazione a questo cambiamento. Oggi la transizione verso una nuova figura paterna è una tendenza, ma non ancora un fatto acquisito, una normalità. E quindi suona ancora come insolito. Se dunque è diffusa la parola "mammo" è anche perché non esiste ancora un modello di padre contemporaneo che sia autorevole e a cui fare riferimento.
L’evoluzione (a metà) della figura paterna
Questo ritardo nel consolidamento di un modello fa anche sì che l'evoluzione del ruolo di padre sia ancora incompleta e rischi di incappare in alcune derive.
Il padre "amico".
I padri di oggi non vogliono essere percepiti dai figli come lontani e rigidi nelle loro decisioni. A volte però questa ansia li porta a ricadere sull'estremo opposto e ad essere accondiscendenti e permissivi: altra caratteristica che ancora una volta "attira" il concetto di "mammo", ma soprattutto che è problematica dal punto di vista educativo. «Abdicare al tradizionale ruolo normativo coincide con negare la paternità e rischiare che i figli diventino "tiranni che decidono tutto", per dirla con Crepet». La difficoltà dei padri di oggi sta proprio nel tenere insieme la riscoperta carica affettiva e giocherellona e quel ruolo regolativo percepito come "antipatico", che troppo spesso alla fine tendono a delegare alle madri. «Invece sono indispensabili entrambi alla crescita di un bimbo. Non si tratta di reiterare il codice che le coccole siano femminili e l'autorevolezza maschile, perché questi modi di essere tante volte non coincidono con il sesso; ma è importante che tutti e due i genitori collaborino su entrambi questi fronti». Quindi va bene superare l'autoritarismo, ma non la fermezza: «Essa si stabilisce soprattutto con l'esempio e con la capacità di trasformare la regola in uno stile di vita e un sentimento "Si fa così, io ci sono, ma si fa così perché è giusto per te".
All'interno di una cornice di accoglimento, ci vuole anche il "no" dei padri perché i bambini devono sperimentare le frustrazioni che possono derivarne. Lo stesso processo di identificazione del bambino non può partire se si trova in un vuoto normativo, dove tutto è possibile e scivoloso e dove non ci sono ostacoli e difficoltà a cui rispondere e con cui misurarsi».
Iniziare "tardi" a fare il padre.
Affinché il papà contemporaneo, al pari e a fianco alla mamma, diventi un riferimento stabile e affidabile non deve solo recuperare il suo ruolo autorevole.
Deve anche essere consapevole della sua importanza dal momento del concepimento in poi. «Talvolta invece si comincia a fare i padri quando i figli hanno 4-5 anni, ovvero quando iniziano ad essere più ricettivi e comunicativi e si possono fare delle cose con loro. Così certo è semplice, ma in realtà un padre ha bisogno di sperimentarsi da subito come tale. Sia per togliere alle madri l'ansia e la convinzione che siano solo loro ad essere realmente indispensabili, sia per svolgere il loro ruolo educativo di "terzo separatore", che si inserisce nella diade mamma-bambino per romperla e impedire che diventi simbiotica». Le madri nei primi anni di vita del piccolo a volte non lasciano molto spazio ai padri, e per questo spesso essi si ritraggono nelle retrovie. Bisogna invece avere il coraggio di dire "Faccio io" per conquistarsi il ruolo, prima come supporto alla madre e poi via via come figura di attaccamento: «questo termine indica la persona con cui il bambino stabilisce una relazione forte perché sente che si occupa di lui e che gli permette di crescere sviluppando competenze e autostima. Non è facile, soprattutto quando capiterà che vostro figlio vi dica "voglio la mamma": non sentitevi però rifiutati o feriti nell'orgoglio e ricordatevi che non è un capriccio, ma un bisogno reale del bambino. Mostrate di mettere al centro il loro bisogno e non la vostra frustrazione. Ci sono altri ambiti in cui invece la mamma non la cercano e stanno bene con voi. Abbiate la consapevolezza che come coppia ognuno offre al bambino ciò di cui ha bisogno a seconda delle proprie qualità e caratteristiche».
Come parlare del papà ai bambini
Se voi foste l'unico papà, in mezzo a tutte le mamme, che va a prendere vostro figlio a scuola, come spiegare il perché a
vostro figlio? «Un bambino della scuola dell'infanzia o primaria, anche se è entrato nella fase del confronto con gli altri, difficilmente si curerà di questa cosa. E non necessita di reali spiegazioni, perché il bambino porta nel mondo la sicurezza che vive tra le mura domestiche: se vede il papà che fa tutto in casa al pari della mamma, per lui sarà perfettamente normale che fuori da scuola ci possa essere lui. Piuttosto si chiederà stupito come mai le altre famiglie non fanno come la sua, che è in così armonico equilibrio».Libri sul papà
Per bambini
- "Che fatica mettere a letto... papà!" di Coralie Saudo e illustrato da Kris Di Giacomo (La Margherita edizioni, 2013)
- "Ti voglio bene, papà!" di Eric Carle (Mondadori, 2018)
- "Papà, mi prendi la luna, per favore?" di Eric Carle (La Margherita edizioni, 2018)
Per adulti
- "Da uomo a padre" di Alberto Pellai (Mondadori, 2019)
- "Mi è nato un papà" di Alessandro Volta (Feltrinelli, 2013)
- "La gioia di educare" di Paolo Crepet (Einaudi, 2015)
L'intervistata
Laura Mazzarelli è pedagogista e co-autrice del libro "Invece di dire… Prova a dire. Le parole per educare i bambini con amorevole fermezza" (Mondadori, 2019). Cura un proprio blog dal titolo "Il cammino pedagogico".