Appena nato, il piccolo era stato portato dalla madre in Perù, suo Paese natio, ma il padre italiano non si è mai dato pace e dopo una spola continua tra Europa e Sudamerica, nel 2013 riesce a riportare suo figlio a Trieste, dove il bambino è nato.
Nel frattempo la contesa sul piano legale aveva raggiunto il Tribunale minorile dell'Aja, il quale si era anche espresso in favore dell'uomo. Dall'altra parte dell'oceano però, tale sentenza non aveva carattere esecutivo e la madre riesce ad appellarsi alla decisione in Perù e si riappropria della tutela del piccolo.
Il bimbo però ora è in Italia e le autorità si sono espresse affinché cessi questo continuo tira e molla transcontinentale che non può che nuocere all'integrità psicofisica di un soggetto così giovane.
Che fare dunque? Da una parte il padre impugna l'affidamento concessogli dalle autorità europee, dall'altra la madre che è forte delle disposizioni del tribunale peruviano.

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La decisione del Tribunale
La patata bollente passa dunque al Tribunale di Trieste, che deve dire l'ultima (?) parola sul caso. E qui il colpo di scena: contrariamente alla norma che prevede un coinvolgimento diretto del minore nella scelta solo dopo il compimento dei 12 anni d'età, il giudice ha disposto che sarà proprio il bambino a decidere del suo futuro.
Il 13 febbraio una psicologa sarà dunque chiamata a valutare se il bimbo sia capace di "razionalizzare" l'intera vicenda e valutare con cognizione di causa le conseguenze della sua scelta. A seconda dell'esito della perizia, si procederà ad una decisione definitiva.
FONTE: Corriere della Sera; Ansa
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