Enzo Jannacci e la «Filastrocca dell’invidia»
La «Filastrocca dell'invidia» di Mimmo Mòllica è scritta per ricordare Enzo Jannacci (3 giugno 1935), autore di indimenticabili canzoni e medico, "ma medico veramente". Jannacci era un medico vero, si era laureato in Chirurgia Generale alla Statale di Milano, in America si era specializzato in Pronto Soccorso, poi in Cardiochirurgia infantile… C'era molta «invidia» nei suoi confronti, perché lui era bravo…
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«Filastrocca dell’invidia» di Mimmo Mòllica
Gli invidiosi sono sempre golosi,
son gelosi e un po' tenebrosi,
hanno fame di tutto e di niente,
voglion tutto ciò che ha l'altra gente,
hanno fame ma non sanno di che,
hanno sete ma non sanno perché.
L'invidioso non vede mai il sole,
non ha mai, mai con sé ciò che vuole,
non conosce la felicità,
cerca sempre quello che non ha.
Sì, l'invidia è per sé dolorosa,
ma per gli altri è un po' pericolosa,
l'invidioso brama ciò che non è,
vuole quello che appartiene a te.
Poi l'invidia ci presenta il conto,
è il segnale che hai perso il confronto,
è la prova che siam dei perdenti
nei confronti di amici e parenti,
è conferma di vivere male,
di subire il confronto sociale.
Squattrinato, dottore o contessa
chi la prova giammai la confessa,
non ci vuole la maga indovina
che ci dica «l'invidia è meschina».
E' qualcosa che parla di sé,
altro punto di vista non c'è,
senza neanche sapere perché
io vorrei solo essere te.
Mimmo Mòllica ©
Macché delitto di gelosia…
"C'era molta «invidia» nei confronti di Enzo Jannacci, perché lui era bravo. La gente lo amava, all'inizio perché era famoso, quindi lo «invidiavano» perché era famoso, e poi perché capivano che era bravo.
A Milano d'estate faceva ambulatorio per nullatenenti e immigrati?". (Andrea Pedrinelli, giornalista e storico della canzone).
Teo Teocoli parla di Jannacci come un uomo che "non aveva «invidia», non faceva competizione, dava sempre tutto a tutti".
"Enzo Jannacci faceva parte di un'ondata salutare e fresca che aveva rinnovato il mondo della cultura e dello spettacolo italiano, era riuscito insieme ai suoi compagni a lanciare definitivamente Milano nel panorama artistico nazionale, una Milano rimasta fino ad allora a guardare Roma e Napoli, le città monumentali, con un senso di ammirazione e «invidia»". (Marco Vignolo Gargini)
E «l'invidia» micidiale causa la morte dell'Armando, sventurato protagonista di una delle molte canzoni esemplari di Jannacci e Dario Fo: "Commissario, sì, l'Armando era proprio il mio gemello / però ci volevo bene come fosse mio fratello. / Stessa strada, stessa osteria / stessa donna, una sola, la mia. / Macché delitto di gelosia / io c'ho l'alibi… / Era quasi verso sera / se ero dietro, stavo andando / che si è aperta la portiera / ho cacciato giù, pardon, è caduto giù l'Armando".
E in «Tì te se no» il protagonista della canzone, un povero "capofamiglia", nella Milano del boom economico, di fronte all'ostentazione del benessere e della ricchezza, non può fare a meno di provare «invidia». Anche a lui piacerebbe viziare i figli, comprare loro giocattoli costosi e vestiti eleganti per loro e per la moglie.
È una forma di debolezza?
L'invidia è una forma di debolezza? È desiderio di possedere ciò che hanno gli altri, di essere come altri o è proprio ostilità nascosta verso gli altri? È desiderio di arrecare un danno a qualcuno, di togliere a qualcun altro la felicità o la fortuna che possiede, di togliergli ciò che lo rende «invidiabile»?
Ma attenzione a non essere eccessivamente severi verso questo «cattivo sentimento» che potrebbe appartenere non solo agli altri ma pure a noi stessi: anche noi potremmo essere invidiosi senza volerlo ammettere.
Deve essere davvero poco entusiasmante la vita dell'invidioso se dedica le proprie energie a desiderare quella altrui, a volere ciò che hanno gli altri. Ancora più triste e deprimente è la vita di chi si illude di potere essere felice impedendo che gli altri lo siano.