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«Filastrocca dell’identità» di Mimmo Mòllica

di Mimmo Mollica - 09.09.2021 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
La «Filastrocca dell'identità» di Mimmo Mòllica è scritta ripensando al ritorno a scuola dopo le vacanze

In questo articolo

L’appello, non una semplice «chiamata per nome»

La «Filastrocca dell'identità» di Mimmo Mòllica è scritta ripensando al ritorno a scuola dopo le vacanze e all'«appello», il momento apparentemente più formale e burocratico, e invece il più… 'intimo' e personale. Non una semplice «chiamata per nome», secondo un ordine alfabetico ma il suggello dell'identità, più importante della lezione stessa. «Non immaginate quanto un adolescente rimanga colpito dal fatto che il proprio insegnante facendo l'appello lo guardi diritto negli occhi e dimostri di accorgersi di lui».

«Filastrocca dell’identità» di Mimmo Mòllica

Questo son io,

son proprio io,

sono nipote

di nonno e zio,

nonché fratello

del mio gemello.

Mi chiamo anch'io

col nome mio

e anche se sono

figlio di Dio,

nacqui da mamma

e papà mio,

e siamo un trio,

e casa mia

è il suol natio.

Nacqui un bel giorno

proprio qua attorno,

sotto l'influsso

un po' discusso

di un segno astrale

che non è male.

Nacqui dotato di un «Dna»,

che non è un marchio di qualità,

ma un documento di identità

che ci distingue poiché ci dà

lingua ed idioma,

il ribosoma,

gene e genoma,

il cromosoma,

pelle, statura,

e abbronzatura,

l'intelligenza con cui ragiono,

quando mi chiedo:

«Ma io chi sono?».

Io non sapevo come chiamarmi,

intendo dire che nome darmi,

e così il nome, senza clamori,

me l'hanno dato i miei genitori.

Ed è da allora, quel giorno lì,

che a scuola o in casa mi chiamo così.

Per non incorrere in amnesia

ho registrato la biografia:

nome, cognome,

età e pronome,

poi soprannome e prestanome,

perché e percome.

Mimmo Mòllica

L'appello, il momento dell'identità

Settembre, finite le vacanze estive si torna a scuola.

Sì ricomincia dall'«appello», il momento apparentemente più formale e burocratico, e invece il più… 'intimo' e personale.

L'«appello» rischia di rimanere relegato nell'anonimato più paradossale, dentro i registri, nel grigiore della burocrazia e delle carte, e invece porta in sé il suggello dell'identità. È il momento della conoscenza, della reciprocità e dello scambio, dell'affermazione dell'io e del sé.

Non una semplice «chiamata per nome», secondo un ordine alfabetico, al solo fine di controllarne la presenza o l'assenza.

L'appello è un fatto 'emotivo': «Come stai? Buon inizio di giornata».

È condivisione dello stato emotivo, uno spazio di accoglienza, il momento dell'introspezione e dell'empatia. Un nome, il tuo nome, il mio e il suo. Un'identità, la mia, la tua, la sua: la nostra.

Un ruolo, una passione, un sogno, un dispiacere, un segreto, un'aspirazione: tutto ciò dovrebbe essere l'«appello».

Una scuola centrale

Finito l'appello la scuola reclama la sua centralità. La centralità dell'azione didattica ed educativa reclamerà su di sé ogni attenzione. Eppure c'è sempre una centralità più… centrale, che come una musica di sottofondo si soffonde nell'aria: chi sei tu, chi sono io, chi siamo noi? E qua, in quest'aula, in questa scuola che ci facciamo, cosa siamo, cosa prendiamo, cosa diamo, cosa apprendiamo, cosa insegniamo?

Solo nozioni e compiti per casa, in nome dei programmi ministeriali da finire?

La scuola non fa il pieno

La scuola non è un luogo dove si fa il pieno, come nelle automobili; dove ci si riempie di informazioni. A scuola si istruisce ma si educa. A scuola si impara a conoscere se stessi, si impara ad amare la vita e ad amarsi. E la relazione tra insegnante e alunno, e tra alunni e compagni viene prima dei programmi.

Spesso però è la burocrazia a farsi prioritaria, ad allontanarci da quanto qua detto per condurci lontano dalla nostra identità, che (perciò) rischia di dissolversi nell'inchiostro dei registri, dei timbri, della burocrazia. Appunto.

Alessandro D'Avenia: «Una mia studentessa mi ha chiesto perché perdessimo così tanto tempo a fare l'appello. Le ho risposto che quel momento era addirittura più importante della lezione stessa. Non immaginate quanto un adolescente rimanga colpito dal fatto che il proprio insegnante facendo l'appello lo guardi diritto negli occhi e dimostri di accorgersi di lui».

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