Chi è cattivo di natura, non cambia mai
Un tempo la formica era un contadino che, non contento del frutto del suo lavoro, guardava con invidia i campi dei vicini, continuando a rubare il loro raccolto. Zeus, capo degli Dei, sdegnato di tanta avidità, volle punirlo trasformandolo in formica.
Malgrado il severo castigo − però − la formica non mutò le sue abitudini, continuando a rovistare i campi per portarne via il raccolto, frutto del lavoro altrui, e accumularlo per sé.
La favola mostra che chi è cattivo di natura, anche se gravemente punito, non muta costumi.
Filastrocca della Formica
di Mimmo Mòllica
Un tempo era un uomo la formica,
un contadino nato là in campagna
che, non amando molto la fatica,
si lamentava sempre, era una lagna,
che la sua terra non dava abbastanza,
mentre ai vicini dava in abbondanza.
Guardava con invidia il suo vicino
perché i suoi campi producevan molto,
ma la formica riempiva il suo cestino
prendendo dai vicini altrui raccolto,
tanto che niente rimaneva a loro
di molto duro ed onesto lavoro.
Ma Zeus un giorno, capo degli dei,
sdegnato da quello scansa fatica,
pensò «una punizione gli darei»
e con un soffio lo trasformò in formica.
Ma quel castigo non sembrò bastare,
non smise di rubar l'altrui raccolto,
sempre era in cerca di cibo da rubare,
da metter nella tana, ben sepolto.
La favola vuol dire che è grottesco
che il melo possa diventare un pero,
che il faggio possa diventare un pesco,
che il bianco per magia diventi nero;
che il baronetto diventi mezzadro,
che l'imbroglione diventi sincero,
che lo sgraziato diventi leggiadro,
che il falso possa diventare vero.
Esopo vuole dir che a questo mondo
chi nasce quadro non può morire tondo.