Il 15 giugno è la «Giornata mondiale contro gli abusi sugli anziani» e Mimmo Mòllica ha voluto dedicare loro questa toccante filastrocca, ispirata alla straziante lettera di un anziano avvocato morto per coronavirus in una «casa di riposo».
Nella lettera, affidata di nascosto ad una suora poco prima di morire, l'uomo definisce "prigione dorata" la casa di riposo e si dice amaramente pentito d'esserci andato. La lettera, pubblicata su Interris.it del 22 aprile 2020 da Manuela Petrini, è un commovente addio ma pure una chiara denuncia contro il sistema. "Sono le parole di tutte quelle persone che hanno perso la vita in questa pandemia da soli, negli ospizi, senza che la loro mano venisse stretta da un familiare, senza versare insieme le ultime lacrime, perdonarsi, stringersi, dirsi 'ti voglio bene'".
Senza funerali, né degna sepoltura.
Ascolta il podcast con la filastrocca
«Filastrocca dell’ospizio» di Mimmo Mòllica
Da un letto senza cuore
vi scrivo con amore,
cari nipoti miei,
e stringervi vorrei.
Dal mio respiro sento
che il mio 'camino' è spento,
mi resta poca vita
e ho solo una matita
per scrivere qualcosa,
regalo di una donna gentile e generosa,
l'unica donna dentro questo ospizio
che mi ha sempre sorriso, dall'inizio.
Anche se io so bene la ragione
per cui mi trovo qua, come in "prigione",
ora capisco chi le ha paragonate
a dei luoghi infelici, a «prigioni dorate».
Allora mi sembrava esagerato,
adesso invece io ci ho ripensato,
anche se cerco d'essere paziente,
anche se sembra che non manchi niente,
qua mi manca la cosa più importante,
una carezza più rassicurante,
sentirmi chiedere dal mio nipotino
"come hai dormito, come stai nonnino?".
Mancan gli abbracci, qua mancano i baci,
mancano i nipotini miei vivaci,
manca la voce tanto familiare
della mammina che fanno arrabbiare;
l'odore della casa, quel profumo
che ora non sento mentre mi consumo,
e quei sorrisi, le vostre risate
e le mie tante storie raccontate.
Mi mancano perfino quei rimbrotti
per due bicchieri e per due piatti rotti,
le ramanzine, la moglie che mi striglia,
ch'è pure il 'bello' del vivere in famiglia.
I figli piccolini ormai cresciuti,
sentirsi necessari e benvoluti,
giorni felici ed altri tra gli affanni
con lei, con cui ho vissuto 60 anni,
ed ogni giorno germogliava un seme,
un nuovo giorno da vivere insieme.
E quanti «grazie» adesso dovrei dire,
davvero, tanti grazie, a non finire:
a mia moglie per avermi sopportato,
ai figli per avermi perdonato,
ai miei nipoti per il loro amore
ed agli amici per tanto calore.
Non sono qua per colpa di qualcuno
ma per non dar fastidio più a nessuno,
non è la libertà che io ho difeso,
ma per non esser più troppo di peso,
non essere un ostacolo, uno scoglio,
non sono qua soltanto per orgoglio.
E se tornassi indietro vi direi
«voglio restare a casa figli miei»,
non avrei immaginato alla mia età
di esser di peso e di finire qua,
dove tutto è pulito ed ordinato
il personale, a volte, è anche educato,
ma poi di fatto siamo tanto soli
senza nessuno mai che ci consoli.
Vorrei tanto capire che motivi,
perché qua dentro a volte son cattivi?
Perché i cattivi sono proprio loro
che hanno scelto di far questo lavoro?
Perché tanto bisogno di infierire
contro chi è vecchio e non può più reagire?
Il mio non è un giudizio frettoloso,
non dovrebbero esistere «case di riposo»,
questi «ospizi», o come li chiamate,
sono soltanto «prigioni dorate»;
io sto morendo perciò lo posso dire,
sono tanto pentito, a non finire.
Tornassi indietro io supplicherei
voglio restare a casa figli miei,
a casa fino all'ultimo respiro,
dormire nel mio letto come un ghiro,
sarebbe un bene grande, un bene immenso,
e adesso anche il mio pianto avrebbe un senso.
Sono un povero vecchio ormai finito,
trattato come oggetto arrugginito
e il Covid io lo so, sarà la fine,
già lo capivo da certe vocine,
da certe grida e dai modi sgarbati
che ormai da tutti vengon sopportati:
un'infermiera mi ha già preannunciato
che se peggioro poi sarò intubato.
Mimmo Mòllica ©
Lettera d'addio di un anziano morto di Covid in una «casa di riposo»
Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna"…:
Sono le strazianti parole pubblicate su Interris.it il 22 aprile 2020, lettera d'addio di un anziano morto di coronavirus dentro una «casa di riposo», scritta poco prima di essere ucciso dal Covid-19 e consegnata di nascosto a Suor Chiara, destinata ai familiari nella speranza che potessero leggerla dopo la sua morte.
Ecco qualche passo:
"Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna, ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara. È l'unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso, ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po' di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella "prigione".
"Sì, così l'ho pensata ricordando un testo scritto da quel prete romagnolo, don Oreste Benzi che parlava di questi posti come di "prigioni dorate". Allora mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto.
Sembra infatti che non manchi niente ma non è così… manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno "come stai nonno?", gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l'attenzione e far dimenticare tutto".
«In questi mesi mi è mancato l'odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia. Se potessi tornare indietro direi a mia figlia di farmi restare a casa».
«Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? ».
«Vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le Rsa, le "prigioni" dorate e quindi, sì, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all'ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito. L'altro giorno l'infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa».