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Aborto spontaneo, superare il tabù del dolore

di Elena Cioppi - 29.10.2020 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Il caso di Chrissy Teigen che ha raccontato su Instagram il suo aborto spontaneo. I tabu legati al dolore sono ancora così forti?

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Nelle scorse settimane su Instagram si è acceso un dibattito su aborto spontaneo, i tabù legati al dolore e il diritto di mostrare al mondo la sofferenza per la perdita. Ad aprirlo è stata la modella Chrissy Teigen, che alla ventesima settimana di gravidanza, dopo un periodo difficile, ha subito un'emorragia e ha perso il suo terzo figlio a causa di un aborto spontaneo

Aborto spontaneo, i tabù e il caso Chrissy Teigen

Gli scatti che Chrissy Teigen ha scelto di pubblicare sul suo popolatissimo profilo Instagram sono un racconto intimo del senso di perdita che si prova quando hai già dato un nome al tuo bambino e hai già cominciato a considerarlo parte della famiglia. Le critiche che ha subito per aver scelto di narrare a suo modo la perdita precoce di un bambino l'hanno spinta a pubblicare un post su Medium in cui spiega che per lei quegli scatti hanno avuto una valenza terapeutica: in quest'ottica le sue foto mentre stringe il figlio con accanto al marito John Legend diventano parte di un racconto per superare il dolore di un aborto, un modo per provare a dare una spiegazione a quanto accaduto. Nel post Chrissy spiega di aver chiesto al marito e alla madre, entrambi riluttanti, di scattare le foto che la modella ha poi pubblicato su Instagram scatenando la reazione dei suoi milioni di followers (e non solo).

Chrissy Teigen ha scritto su Medium: "Ho chiesto io a mia madre e mio marito di fare delle foto, non importa quanto li facessero sentire a disagio. Ho spiegato a John che ne avevo bisogno e che doveva farlo lui. Lo ha odiato, davvero. Non aveva senso per lui in quel momento. Ma io sapevo di aver bisogno di fissare quel momento per sempre, allo stesso modo di come ricordo il nostro bacio quando ci siamo incontrati all'altare o le lacrime di gioia quando sono arrivati Luna e Miles.

Avevo assoluto bisogno di raccontare questa storia". 

Nel post la modella si scusa anche con i suoi fan di aver scomodato sensazioni negative, di aver aperto voragini emotive troppo grandi da sopportare e, soprattutto, di averli fatti sentire a disagio col racconto di un aborto spontaneo a 20 settimane. Come per la morte in utero (come viene considerata la perdita in momenti più avanzati della gravidanza, dopo le 28 settimane) anche l'aborto spontaneo ha la sua narrativa: spesso sono parole che le persone non vogliono sentirsi dire perché troppo violente, crude e dolorose. Non c'è un modo giusto o sbagliato, solo quello che si è scelto per parlarne. Aprire il dibatittito su questi temi diventa fondamentale per non lasciar cadere il dolore e il lutto in secondo piano, per elaborarlo e ricominciare.

Affrontare il dolore dopo la perdita di un bambino

Perdere un bambino nelle prime fasi della gestazione o a causa della morte perinatale (dalla ventottesima settimana di gravidanza a sette giorni dopo il parto) è un'esperienza privata, che non può essere giudicata dall'esterno perché troppo personale. Per la mamma e per la coppia, per la famiglia che subisce la perdita. Dopo un aborto spontaneo cambia tutto, persino le mestruazioni. Ed elaborare la perdita è un processo che, spesso, rompe l'equilibrio del benessere mentale di tutte le persone che diventano, loro malgrado, protagonisti della storia. Secondo le ricerche e le testimonianze raccolte dalla Miscarriage Association, le conseguenze di un aborto sulla salute psicologica della mamma e del papà sono evidenti. Nascono tutte dal bias del "dovrei fare", del dover a tutti i costi razionalizzare un evento che ha invece un grosso impatto emotivo. Secondo l'associazione, i pensieri che intervengono dopo un aborto o la morte perinatale sono legati all'idea di ciò che gli altri vorrebbero da noi. Provare e mostrare dolore spesso non è ammesso, perché socialmente inaccettabile.

Gli esperti hanno individuato alcune frasi che le persone che hanno subito un aborto spontaneo hanno pensato almeno una volta dopo l'esperienza:

  • "Dovrei reagire meglio"
  • "Dovrei essere più forte"
  • "Dovrei offrire più supporto al mio partner"
  • "Tutto questo è colpa mia"
  • "C'è qualcosa di sbagliato in me"
  • "Ho fatto deprimere tutti"

In questo circolo vizioso il dolore non solo non viene fuori, ma viene anche represso. Spesso però manifestare la sofferenza è uno dei primi passi per elaborare il lutto, senza sentirsi il carico del benessere o dell'umore altrui.

Fonti per questo articolo: Miscarriage Association, https://www.miscarriageassociation.org.uk/your-feelings/your-mental-health/

Come affrontare un aborto? 

Risponde la Dott.ssa Sara Bartoli di Guida Psicologi.it

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