La gravidanza è quasi al termine e si avvicina il momento del parto. C'è chi teme di non accorgersene in tempo, ma è praticamente impossibile. La prima avvisaglia è spesso la perdita del tappo mucoso (un ammasso gelatinoso che chiudeva il collo dell'utero), che però può passare inosservata e precedere di qualche giorno il travaglio.
«Inoltre, molte donne raccontano di aver provato, ancora prima che partissero le contrazioni, la sensazione di qualcosa di diverso, una maggior stanchezza o inquietudine» racconta Roberta Spandrio, ostetrica all'Ospedale San Gerardo di Monza. Le contrazioni, comunque, sono difficili da ignorare: diventano sempre più frequenti, regolari e intense.
«A meno che non si siano rotte le acque, meglio non precipitarsi in ospedale al primo dolore, ma aspettare che le contrazioni diventino regolari (una ogni cinque minuti per almeno due ore)» suggerisce l'ostetrica. Significa che è cominciata la fase dilatante del parto, che porta alla dilatazione completa del collo dell'utero. Seguiranno la fase espulsiva, con le spinte che portano alla nascita del bambino, e l'espulsione della placenta (secondamento).
Difficile dire quanto possa durare un parto: «In realtà non ci sono tempi fissi» commenta la ginecologa Anna Locatelli, responsabile dell'ostetricia e ginecologia dell'Ospedale di Carate Brianza. «La durata di ogni fase è molto variabile da donna e donna e può dipendere da tanti fattori, sia fisici, come le caratteristiche dei tessuti della mamma e le dimensioni del bambino o delle pelvi, sia ambientali». Sembra infatti che anche il modo in cui la donna vive il parto - se e come si sente sostenuta da chi le sta vicino, se può camminare o meno, se e come viene lenito il suo dolore - possa influire sulla sua durata.
La buona notizia, però, è che dopo un parto naturale la ripresa in genere è veloce: già un paio d'ore dopo la nascita la mamma può muoversi, camminare, farsi una doccia.
«E per sempre - sottolinea Locatelli - ricorderà la sua esperienza come un momento di massima espressione di sé, sia dal punto di vista fisico sia da quello psicologico».
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Partorire con dolore? Non è detto!
Quando si pensa al parto, il pensiero corre subito al tema del dolore. «Però il parto non è solo questo ed è un peccato che tutto il discorso si fermi lì» afferma Spandrio, secondo la quale in gioco ci sono anche tante emozioni, spesso contrastanti, che negli anni a venire torneranno sempre in mente. «Spesso c'è paura, ma anche gioia per l'arrivo imminente del bambino, oppure timore di non farcela intervallato alla sensazione di essere invincibili. Senza contare i momenti di condivisione con il papà, i suoi sguardi teneri o preoccupati, certe dinamiche di coppia davvero molto belle». Non è un caso che, già pochi giorni dopo la nascita del loro primo figlio, molte donne dichiarano che rivivrebbero volentieri l'esperienza. Detto questo, è vero che quello del parto è un dolore molto forte.
Per fortuna esistono varie strategie per cercare di ridurlo.
1. Anestesia peridurale (o epidurale)
È considerata il metodo più efficace per alleviare il dolore del parto (che comunque non viene annullato completamente) e prevede la somministrazione, tramite un catetere inserito nella schiena, di analgesici che vengono iniettati nello spazio tra il canale osseo della colonna vertebrale e la membrana più esterna che riveste il midollo spinale. Le complicanze serie sono rare, mentre sono possibili effetti collaterali lievi, tra i quali un caratteristico mal di testa, che compare quando ci si alza in piedi. Può inoltre comportare lieve allungamento della fase espulsiva del parto. Per potervi accedere occorre fare una visita anestesiologica nell'ultimo trimestre ed eseguire alcuni esami del sangue. Non tutti i punti nascita la offrono 24 ore su 24.
2. Protossido d'azoto o gas esilarante
È un gas innocuo dal lieve effetto euforizzante e analgesico. È un po' meno efficace dell'epidurale ma, non essendo invasivo, può essere una buona alternativa, pur con qualche limite: è poco diffuso e può provocare nausea e malessere.
3. Strategie dolci
Ne esistono diverse: tecniche rilassanti (training autogeno, yoga), supporto emotivo continuo da parte di una figura di riferimento (ostetrica o doula), massaggio, ipnosi, aromaterapia, agopuntura, travaglio in acqua. Può valere la pena tentare, anche se non ci sono prove scientifiche che dimostrino definitivamente l'efficacia di queste strategie.
Il taglio cesareo
I dati dicono che in Italia si fanno più cesarei di quanto necessario. Eppure, il cesareo non dovrebbe essere considerato una normale alternativa al parto vaginale, ma solo un'ultima spiaggia. Questo perché, pur essendo diventato estremamente sicuro, è comunque un intervento chirurgico: oltre a richiedere tempi più lunghi di ripresa, può comportare complicazioni, per quanto rare. Tra queste: sanguinamento, infezione della ferita o della cavità uterina, lesioni alla vescica o all'intestino, aumento del rischio di anomalie della placentazione in gravidanze successive. E se fatto prima di 39 settimane aumentano i rischi di problemi respiratori per il bambino.
Cesareo, quando serve davvero
In alcuni casi, comunque, il cesareo è la scelta migliore. Le indicazioni principali sono: situazioni d'emergenza che possano mettere a rischio la vita di mamma o bambino; posizione podalica del feto; placenta previa (che copre in tutto o in parte l'apertura dell'utero); alcuni casi di ritardo di crescita fetale; diabete materno (solo se il feto supera i 4,5 kg); alcune infezioni materne. Per i gemelli, è necessario solo se questi condividono la stessa placenta e lo stesso sacco amniotico, altrimenti si valuta caso per caso. Aver già fatto un cesareo non obbliga a farne altri: linee guida nazionali e internazionali dicono che la possibilità di un travaglio di prova per un parto vaginale dopo cesareo (VBAC) andrebbe offerta a tutte le donne.
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Se il bimbo è podalico?
Se il bambino è podalico - testa in alto e sedere o piedi in basso - si consiglia il cesareo. Esistono però delle strategie per provare a farlo girare prima del parto: il rivolgimento sotto controllo ecografico da parte di un operatore esperto, la moxibustione, che prevede di bruciare un sigaro di artemisia vicino al mignolo della mamma, e l'assunzione di particolari posizioni da parte della mamma. Solo per la prima ci sono prove scientifiche di efficacia.
Aggiornato il 04.03.2019