Home Gravidanza

Cordone ombelicale e sangue cordonale: tutto quello che bisogna sapere

di Valentina Murelli - 14.11.2019 - Scrivici

cordone_ombelicale.600
Fonte: Shutterstock
Dall'anatomia del cordone ombelicale ai possibili utilizzi delle cellule staminali del sangue cordonale; dal momento migliore per il “clampaggio” alla cura del moncone. In occasione della Giornata mondiale del sangue cordonale facciamo il punto sull'argomento

In questo articolo

In questo articolo scopriremo:

Che cos'è e a cosa serve

Il cordone ombelicale è il collegamento fisico tra il feto e la sua mamma: il “filo” che, unendo l'addome del bimbo alla placenta, mette in comunicazione i due sistemi circolatori (fetale e materno). Trasporta ossigeno e sostanze nutritive dalla placenta al feto e sostanze di scarto nella direzione contraria.

 

Com'è fatto

In genere è costituito da tre vasi sanguigni:

 

  • una vena ombelicale, che porta ossigeno e sostanze nutritive dalla placenta al feto,
  • due arterie ombelicali, che portano le sostanze di rifiuto dal feto alla placenta.

 

I vasi sono avvolti e protetti da una sostanza gelatinosa chiamata gelatina di Wharton

. La particolare struttura del cordone gli consente di mantenere un collegamento stabile tra mamma e bambino assicurando però al piccolo un'elevata mobilità, fondamentale per il suo sviluppo neuromotorio.

 

Il cordone ombelicale si inserisce in genere al centro del disco placentare (o in prossimità del centro) e al termine della gravidanza ha una lunghezza compresa in media tra i 35 e i 70 centimetri.

 

Come tutto ciò che ha a che fare con il corpo umano, però, anche il cordone ombelicale non è sempre“da manuale”, ma può presentare alcune varianti di lunghezza o anomalie. Per esempio può avere:

 

  • una sola arteria ombelicale invece di due;

  • avvolgimenti intorno al corpo del bambino;

  • nodi (veri o falsi);

  • cisti;

  • inserzioni anomale, per esempio ai margini della placenta o sulla membrana amniotica (inserzione velamentosa).

 

Nella grande maggioranza dei casi, queste variazioni e anomalie non comportano problemi per il feto e non devono preoccupare più di tanto. È vero però che in alcuni casi possono costituire il segnale di qualche disturbo o anomalia come malformazioni o sindromi genetiche oppure rappresentare un pericolo per la sopravvivenza del bambino.

 

Per questo il medico, se ne è consapevole – purtroppo non è sempre facile vedere con l'ecografia eventuali problemi del cordone ombelicale – potrebbe consigliare esami di approfondimento o programmare un parto cesareo.

 

Cosa succede al cordone dopo il parto

Fino a non molto tempo fa, in genere il cordone veniva tagliato subito dopo la nascita del bebè.

 

Il taglio ritardato

 

Oggi però le indicazioni sono altre: secondo l'Organizzazione mondiale della sanità il cordone va tagliato (a meno di particolari situazioni d'emergenza) non prima di uno-tre minuti dopo la nascita per ridurre il rischio di anemia fetale. Ritardare il taglio, infatti, significa consentire un maggior apporto di sangue fetale dalla placenta al bambino, e dunque un maggior apporto di ferro. Sulla stessa linea si pongono le Raccomandazioni italiane per il clampaggio (è la chiusura del cordone con una pinza, che ne precede il taglio) del cordone ombelicale, emanate nel 2017 dalle principali società scientifiche di neonatologia e pediatria.

 

Il taglio “ritardato” del cordone è possibile anche nel caso di parto cesareo e di bambini nati prematuramente. Anzi, alcuni studi suggeriscono che in questi casi il taglio ritardato risulta associato a una diminuzione significativa del rischio di varie complicazioni, anche gravi. In molti casi, le procedure di assistenza alla respirazione previste per i bimbi prematuri possono essere avviate anche se il piccolo è ancora attacco alla placenta.

 

In alcuni ospedali, magari su richiesta della mamma, si aspetta anche qualche minuto in più, in genere una ventina, cioè fino a quando il cordone smette di pulsare autonomamente.

 

La nascita lotus

 

Se ormai c'è condivisione scientifica sull'opportunità di attendere qualche minuto prima del taglio del cordone ombelicale, decisamente più controversa risulta la pratica della cosiddetta nascita lotus, che prevede di non recidere il cordone ma di lasciarlo attaccato alla placenta fino a quando non si stacca da solo, cosa che avviene in genere da tre a dieci giorni dopo la nascita. Nel frattempo, la placenta viene conservata in un sacchetto o in una bacinella, vicina al neonato, e talvolta viene cosparsa con sale grosso (per favorirne l’essiccamento) e con qualche goccia di olio profumato per mascherarne il cattivo odore.

 

Secondo quanto si legge sul sito dell'associazione Lotus Birth® -Italia, la motivazione che spingerebbe a desiderare questa pratica starebbe nel fatto che "il contatto prolungato con la placenta permetterebbe al bambino di ricevere tutta la quantità del preziosissimo sangue placentare che è presente alla nascita e che la natura ha previsto per la costituzione del sistema immunitario". Inoltre, per i sostenitori questa tecnica sarebbe "il modo più dolce, sensibile e rispettoso di entrare nella vita".

 

Il problema, però, è che non ci sono studi che mettano in evidenza vantaggi concreti per il bambino dovuti a questa pratica. Anzi, al contrario, molti esperti e società scientifiche (

per esempio Società italiana di neonatologia, Royal College of Obstetricians and Gynecologists, American College of Obstetricians and Gynecologists) tendono a sconsigliarla per il rischio di ittero neonatale e di infezione.

 

In effetti alcuni articoli scientifici riportano proprio casi clinici di neonati andati incontro a gravi infezioni – dall'epatite alla sepsi all'infezione cardiaca – dopo un parto Lotus. E un recente articolo pubblicato sulla rivista "Nature" ha evidenziato come il 5% delle placente di un campione di oltre 570 partorienti presentava contaminazione da streptococco di gruppo B, un patogeno che può causare sepsi nei neonati.

 

La cura del moncone del cordone ombelicale nei primi giorni a casa

Le indicazioni sulla cura del moncone del cordone ombelicale nei primi giorni dopo la nascita variano ancora molto da ospedale a ospedale, e talvolta sono frutto di semplici tradizioni, più che di reali fondamenti scientifici.

La tendenza, però, è ormai quella di uniformarsi alle autorevoli indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Associazione americana dei pediatri, secondo le quali in realtà c'è ben poco da fare. Basta cercare di mantenere il moncone il più asciutto possibile per facilitarne la caduta.

Quindi via libera a coperture traspiranti – ma va bene anche non coprirlo del tutto, ripiegando leggermente all'indietro il pannolino in modo che non dia fastidio urtandovi contro - e, se proprio occorre, a una detersione leggera con acqua o acqua e sapone delicato.

No, invece, a soluzioni antibatteriche, antisettiche, disinfettanti che non solo non servono ma potrebbero essere dannose, perché potrebbero favorire la selezione di ceppi batterici particolarmente virulenti e perché sembrano ritardare il momento del distacco. E no anche all'alcol, che potrebbe provocare ustioni chimiche.

Cosa fare del cordone – o, meglio, del sangue contenuto nel cordone - dopo il taglio

Per molto tempo, dopo il taglio il cordone ombelicale è stato semplicemente buttato via. A un certo punto, però, ci si è resi conto che il sangue del cordone ombelicale contiene qualcosa di molto prezioso, cioè cellule staminali emopoietiche (progenitori delle cellule del sangue e del sistema immunitario) potenzialmente utili per il trattamento di malattie del sangue e del sistema immunitario, come leucemie, linfomi, anemie. Contiene inoltre anche altri tipi di cellule (per esempio le mesenchimali) che potrebbero rivelarsi importanti nell'ambito della medicina rigenerativa.

Donazione e conservazione privata del sangue cordonale

Dai primi anni novanta è dunque possibile donare il sangue del cordone ombelicale del proprio neonato a una banca pubblica, in modo che queste cellule così preziose possano essere messe a disposizione di chiunque, nel mondo, ne abbia bisogno. Si parla in questo caso di donazione solidaristica, una procedura che non comporta alcun costo per la famiglia.


Più controversa la pratica – possibile anch'essa dai primi anni Novanta – della conservazione presso banche private (ovviamente a pagamento), che le tengono da parte per il bambino o la sua famiglia nel caso in cui, in futuro, dovesse esserci qualche problema di salute. Si parla in questo caso di conservazione privata o autologa. Il punto è che, al momento, non ci sono prove che questa conservazione privata possa avere davvero un senso, dal punto di vista scientifico.


Anche nel caso di donazione o conservazione privata del sangue cordonale, il cordone non andrebbe tagliato prima di un minuto dalla nascita per garantire adeguate riserve di ferro al neonato. Va detto però che questo potrebbe ridurre la possibilità di raccoglierne una quantità adeguata per la conservazione (ovviamente, prima si taglia il cordone più sangue si riesce a raccogliere).

Donazione sangue cordonale: ecco come si fa

Come spiegato in dettaglio sul sito di Adisco, Associazione donatrici italiane di sangue del cordone ombelicale, la prima cosa da fare per poter accedere alla donazione solidaristica del sangue cordonale è verificare che il punto nascita presso il quale si intende partorire sia collegato a una delle 18 banche pubbliche che, nel nostro paese, raccolgono il sangue del cordone ombelicale. Altrettanto importante è essere in condizioni di buona salute, per evitare di trasmettere malattie a un eventuale ricevente. Per questo a chi richiede di accedere alla donazione viene somministrato un accurato questionario che indaga la situazione clinica personale e familiare e l'esistenza di eventuali comportamenti a rischio. Inoltre, viene richiesta l'esecuzione di alcuni esami del sangue.

Dunque formalmente i passaggi da fare sono tre:
- colloquio con personale medico o ostetrico opportunamente formato dalla banca del sangue cordonale per la compilazione del questionario sulle condizioni di salute generali;
- prelievo di sangue per l'esecuzione degli esami di legge obbligatori;
- controllo a 6/12 mesi dal parto della mamma e del piccolo donatore, con ripetizione degli esami del sangue previsti per legge.

Nel caso della conservazione autologa, sarà la ditta scelta dalla famiglia a indicare in dettaglio la procedura (che, lo ricordiamo, richiede l'esportazione all'estero delle cellule raccolte, visto che la legge italiana vieta l'istituzione di centri di raccolti privati nel territorio nazionale.

TI POTREBBE INTERESSARE

ultimi articoli