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Fattore Rh in gravidanza

di Sarah Pozzoli - 24.10.2020 - Scrivici

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Fonte: shutterstock
Se una donna è Rh negativa e ha un partner Rh positivo, in caso di gravidanza può porsi il problema dell'incompatibilità del fattore Rh tra madre e figlio  - se anche questo è Rh positivo. Quali esami bisogna fare e come deve essere seguita la gravidanza?

In questo articolo

Che cos'è il fattore Rh

Si tratta di un gruppo di molecole che possono essere presenti sulla superficie dei globuli rossi. Come i gruppi sanguigni AB0, anche il fattore Rh rappresenta un sistema di classificazione del sangue, e deve il suo nome alle scimmie della specie Macacus rhesus, sulle quali vennero condotti i primi studi in materia.

Rispetto al fattore Rh, sono possibili due situazioni: Rh positivo, se il fattore è presente; Rh negativo, se è assente. Tra le varie molecole che definiscono il fattore Rh, quella chiamata antigene-D è considerata la più importante. Circa il 15% delle donne è Rh negativo.

Perché è importante conoscere il gruppo Rh?

Conoscere il fattore Rh in gravidanza è davvero importante per stabilire una possibile incompatibilità tra il sangue materno e quello del feto. Infatti, se una donna è Rh negativa e ha un partner Rh positivo, in caso di gravidanza può porsi il problema dell'incompatibilità del fattore Rh tra madre e figlio (se anche questo è Rh positivo).

Il fattore Rh, essendo un antigene, è capace di produrre una risposta di difesa. Significa che, in caso di contatto tra sangue materno e sangue fetale, la madre comincia a produrre anticorpi contro i globuli rossi Rh positivi del feto: una condizione che può provocare la cosiddetta malattia emolitica fetale-neonatale, potenzialmente pericolosa per il bambino, ma soprattutto per eventuali feti di gravidanze successive.

Prima dell'introduzione di misure preventive nei confronti di questa condizione, la malattia emolitica colpiva l'1% dei neonati, causando la morte di un bambino ogni 2200. A partire dagli anni settanta. grazie all'introduzione dell'immunoprofilassi anti-D, il numero dei casi si è drasticamente ridotto e oggi riguarda 4 casi ogni 10.000 nascite (0,04%).

Il rischio di immunizzazione

Perché la mamma Rh negativa cominci a produrre anticorpi anti-Rh, deve entrare in contatto con il fattore Rh del figlio e questo accade nel caso di contatto tra sangue materno e sangue fetale.

Nella maggioranza dei casi, è il parto il momento in cui avviene questo contatto, e siccome a questo punto il feto ormai è nato, non avrà conseguenze.

La mamma, però, è ormai immunizzata (a meno di non eseguire l'immunoprofilassi nei tempi previsti): quindi potrebbero essere a rischio eventuali feti di future gravidanze, se fossero di nuovo Rh positivi. In questo caso, infatti, gli anticorpi anti-Rh circolanti nella mamma attraverserebbero la placenta, attaccando i globuli rossi del nuovo bambino.

A volte, l'immunizzazione può avvenire anche prima del parto, per esempio in caso di aborto spontaneo o minaccia d'aborto, esami invasivi come amniocentesi, cordocentesi e villocentesi, gravidanza extrauterina, traumi addominali, manovre di rivolgimento ostetrico.

Quando il feto è Rh positivo, se la mamma è Rh negativa?

Un bambino è Rh positivo solo se almeno uno tra mamma e papà è Rh positivo. Per tale motivo sono a rischio solo le gravidanze in cui la mamma è Rh negativa mentre il papà è Rh positivo. Perché il feto sia Rh positivo, quindi, il padre deve essere Rh positivo. Attenzione però: non è detto che se il padre è Rh positivo, lo sarà per forza anche il feto.

Sono possibili due situazioni:

  •  se il padre è omozigote per il fattore Rh, cioè tutti e due i suoi cromosomi contengono il fattore Rh, il figlio sarà sicuramente Rh positivo;
  • se il padre è eterozigote per il fattore Rh, c'è il 50% di probabilità che il figlio sia Rh positivo, e il 50% che sia Rh negativo.

Cosa fare quando la mamma è Rh negativa e il papà è Rh positivo

In questo caso, la futura mamma deve eseguire il test di Coombs passato dal Servizio sanitario nazionale

Se il test è negativo

Se il test è negativo, si esegue l'immunoprofilassi per evitare il rischio di malattia in ogni caso in cui ci sia la possibilità di immunizzazione (aborto, amniocentesi, prelievo dei villi coriali, ecc.

), oppure dopo il parto. In tutti questi casi, l'immunoprofilassi va eseguita entro 72 ore dall'evento immunizzante.

In alternativa, alcuni centri la eseguono di routine a 28 settimane di gravidanza a tutte le donne Rh negative che non si siano immunizzate (come consigliano anche le Linee guida per la gravidanza fisiologica del Ministero della salute).

Se il test è positivo

Se il test è positivo e il papà è omozigote (per scoprirlo basta un esame del sangue paterno), il bambino è sicuramente positivo ed è dunque a rischio di malattia emolitica.

Se invece il papà è eterozigote, il bambino potrebbe anche essere Rh negativo e dunque non essere a rischio. Per stabilire il gruppo sanguigno del feto solitamente si usava fare un prelievo di liquido amniotico o di sangue rispettivamente con l'amniocentesi o con la cordocentesi. Da alcuni anni è possibile conoscere il fattore Rh del feto grazie al test del DNA fetale, eseguibile a partire dalla decima settimana di gravidanza.

Cosa fare se la mamma è immunizzata e il bambino è Rh positivo

In questo caso, la gravidanza va seguita molto attentamente al fine di cogliere segnali di sofferenza fetale ed evitare le conseguenze più gravi per il bambino. In particolare, è necessaria una valutazione periodica per scongiurare il pericolo di un'eventuale anemia fetale. Per farlo, basta un semplice test ecografico, la velocimetria doppler, con determinazione del picco di velocità di flusso dell'arteria cerebrale media.
"Se il livello di anemia fetale è preoccupante - spiega il dott. Giuseppe Noia, professore associato all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - e la gravidanza è oltre le 30 settimane, il bambino viene fatto nascere. Prima delle 30 settimane invece si procede con trasfusioni intrauterine, in genere nel cordone ombelicale o nel peritoneo del feto, fino al momento del parto, che verrà stabilito caso per caso e sulla base delle condizioni cliniche fetali valutate globalmente".

Leggi anche: Le 4 regole per la futura mamma

Fonti per questo articolo: Centro di documentazione sulla salute perinatale e riproduttiva dell'Emilia Romagna; Raccomandazioni per la prevenzione ed il trattamento della malattia emolitica del neonato della Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia; Linee guida per la gravidanza fisiologica del Ministero della salute; Consulenza del ginecologo Giuseppe Noia, professore associato all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

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Revisionato da Francesca De Ruvo

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