Gli esami di diagnosi prenatale
“Il mio bambino sarà sano?” Tutte le future mamme all’inizio della gravidanza e nel corso dei nove mesi di gestazione si pongono questa domanda. La sicurezza al 100% non si può avere, ma certo la diagnosi prenatale aiuta a individuare i cosiddetti difetti genetici.
Una parte importante di questi difetti è rappresentata dalle anomalie cromosomiche, come, per esempio, la sindrome di Down. Rientrano nei difetti congeniti anche le malattie ereditarie.
La diagnosi prenatale è un termine medico che raggruppa i test di screening (duo-test e tri-test) e i test diagnostici (villocentesi e amniocentesi). I primi non sono invasivi, quindi non mettono a rischio la gravidanza; i secondi sì, con un rischio di abortività attorno all’1%.
Quando si consigliano i test di screening e quando quelli diagnostici?
Oggi la filosofia di pensiero dominante è di consigliare i test di screening alle donne in età non a rischio, cioè con meno di 35 anni. In realtà, concordano diversi ginecologi, possono optare per i test di screening anche le donne oltre i 35, non favorevoli ai test diagnostici invasivi, allo scopo di definire meglio il loro personale rischio per quanto riguarda la sindrome di Down e la trisomia 18.
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La curiosità: “L’Italia è a livello mondiale uno dei Paesi dove più si ricorre agli esami di diagnosi prenatale,” dice Umberto Colombo, specialista in ostetricia e ginecologia, Clinica Mangiagalli Milano. “Ogni anno nascono circa 500 mila bambini, circa 150 mila fanno test di diagnosi prenatale”.
(Consulenza: Umberto Colombo, specialista in ostetricia e ginecologia, Clinica Mangiagalli, Milano; Maurizio Amidani, responsabile servizio di diagnosi prenatale, azienda ospedaliera “G. Salvini”, Garbagnate Milanese, Milano)