Una volta non si poteva scegliere: per conoscere il sesso del proprio bebè bisognava aspettare che nascesse. O si guardava la luna per scoprirlo con anticipo. Ma anche ora che sapere se si porta in grembo un maschietto o una femminuccia è possibile con largo anticipo, c'è comunque chi preferisce restare con il dubbio e godersi la sorpresa.
Spesso, il desiderio di sapere se il fiocco sarà rosa o azzurro è dettata quasi unicamente da questioni pratiche: iniziare a preparare il corredino con il colore giusto, scegliere il nome, preparare le bomboniere…
Potrebbero sembrare banalità, ma nel profondo la decisione di conoscere il sesso del proprio bambino non lo è: secondo la neuropsichiatra e psicanalista Monique Bydlowski, specialista della maternità, sapere può essere molto utile. Anzitutto al papà, spiega l'esperta alla rivista francese Psychologies Magazine: "per l'uomo, non portando il figlio in grembo, la gravidanza resta sempre un po' poco concreta" finché, sapendo se il proprio figlio sarà maschio o femmina, anche lui comincia ad avvertire qualcosa di reale.
Ma, sottolinea la Bydlowski, "anche le donne spesso hanno bisogno di convincersi di avere una creatura vivente nella pancia, di rendersi conto che i movimenti che sentono sono quelli di un bebè. E sapere se si tratta di un bambino o di una bambina rende tutto molto più concreto".
E, soprattutto, permette di sviluppare l'empatia dei genitori: "Se sapere il sesso del nascituro consente a papà e mamma di prepararsi meglio alla nascita, ben venga. Soprattutto per quello dei due che dovrà occuparsi di un bambino – e quindi anche necessariamente del suo corpo – di sesso opposto al suo".
Non tutti gli esperti però concordano. Per Roger Bessis, uno dei pionieri dell'ecografia in Francia, ad esempio, il sesso del bebè "non è un'informazione medica, e rischia di creare problemi durante la visita. Io – racconta alla rivista – non comunico mai il sesso prima della fine dell'esame.
Altrimenti, le pazienti si distraggono, cominciano a inviare sms ai familiari e agli amici, e si disinteressano dell'essenziale: la salute del feto. E, se per caso c'è un problema, non se ne accorgono perché non stanno a sentire".
Per il medico, inoltre, "la genitorialità è amare il proprio figlio, maschio o femmina che sia. Ed esiste anche un'intimità fetale: andare a vedere di che sesso è senza una ragione medica è come spiare nel suo diario segreto".
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Diversa ancora è la posizione di Sylvain Missonier, psicanalista e professore di psicologia clinica prenatale all’università di Parigi: “Sapere o non sapere non è né bene né male, né normale né patologico: tutto dipende dal motivo per cui si vuole o non si vuole conoscere il sesso del nascituro”. Alcuni, spiega, vogliono sapere “perché sono troppo impazienti di proiettarsi nel futuro; altri invece no e si preparano a entrambi i possibili scenari. In ogni caso non c’è nulla di male, fintanto che i genitori si preparano con una certa flessibilità alla nascita”.
I problemi sorgono quando i genitori chiedono di sapere se il bebè è maschio o femmina con l’angoscia della risposta, perché vogliono assolutamente l’uno o l’altro; o ancora se non vogliono sapere perché rifiutano di confrontarsi con la realtà.
“Quando si ha timore della risposta – sottolinea Missonier – sapere può aiutare i genitori a prepararsi, a distaccarsi da un bambino solo immaginario per incontrare invece quello reale”.
In molti casi, poi, sapere il sesso “accelera l’investimento psicologico dei genitori nei confronti del nascituro, che in questo modo possono organizzare la loro rappresentazione del bebè”.
Perché sapere se sarà maschio o femmina, sottolinea la Bydlowski, consente dunque di “rinunciare alla propria idea di bambino ideale” adattandosi allo scenario reale. Chi sognava di diventare papà o mamma di un calciatore, magari dovrà adeguarsi ad avere a che fare con una ballerina e viceversa.
Che vogliano o meno sapere se appenderanno un fiocco azzurro o uno rosa, tutti i genitori, necessariamente, anche senza volerlo e senza avere preferenze, si immaginano infatti il loro bebè di un sesso oppure dell’altro, dato che un neonato asessuato non s’è mai visto.
E trasferiscono su di lui le loro speranze, i loro sogni, immaginano il futuro che sarà e quello che non sarà. Soprattutto la madre che, spiega la neuropsichiatra, “portandolo in grembo ha una sorta di ‘trasparenza fisica’, cioè una minore resistenza a trasferire inconsciamente la storia della propria infanzia sul nascituro bombardandolo di attese, speranze o di proiezioni di sé, di ciò che si è stati e di ciò che non si è riusciti a essere”.
Conoscere il sesso, quindi, può servire a “distaccarsi” dalle proprie fantasie e a tornare con i piedi per terra. Ma comunque sia, avverte la Bydlowski, che il piccolo in arrivo sia un maschietto o una femminuccia, che lo si sappia oppure no, “ogni nascita è comunque una sorpresa”, perché si tratta di un bebè che viene al mondo. E i genitori devono imparare, pian piano, a conoscerlo.
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