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Lotus birth: i possibili rischi del parto senza taglio del cordone ombelicale

di Alice Dutto - 17.08.2019 - Scrivici

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Fonte: Pexels
Per varie società scientifiche nazionali e internazionali, lasciare la placenta attaccata al bebè dopo il parto è una pratica da evitare, perché non ci sono prove che serva a qualcosa e allo stesso tempo potrebbe mettere il neonato a rischio di infezioni

In questo articolo

LOTUS BIRTH COS'È

Il Lotus Birth è una modalità di parto che non prevede la recisione del cordone ombelicale dopo la nascita del bambino. In questo modo, la placenta e gli annessi fetali rimangono attaccati al neonato anche dopo il secondamento, cioè il momento in cui viene espulsa la placenta dall'utero.

 

In genere, cordone e placenta si distaccano dal piccolo in modo naturale solo dopo alcuni giorni - dai tre ai dieci - dalla nascita. Nel frattempo, la placenta viene conservata in un sacchetto o in una bacinella, vicina al neonato, e talvolta viene cosparsa con sale grosso (per favorirne l’essiccamento) e con qualche goccia di olio profumato per mascherarne il cattivo odore.

Nel caso del mini Lotus Birth, invece, è previsto il taglio del cordone entro le 12 ore dalla nascita.

Effettuato per la prima volta nel 1974 dall'infermiera da cui questa pratica prende il nome, il Lotus Birth ha cominciato a diffondersi anche in Italia e alcune mamme hanno iniziato a richiederlo anche in ospedale.

LOTUS BIRTH PERCHÉ SI FA

Secondo quanto si legge sul sito dell'associazione Lotus Birth® -Italia, la motivazione che spingerebbe a desiderare questa pratica starebbe nel fatto che "il contatto prolungato con la placenta permetterebbe al bambino di ricevere tutta la quantità del preziosissimo sangue placentare che è presente alla nascita e che la natura ha previsto per la costituzione del sistema immunitario".

 


Inoltre, per i sostenitori questa tecnica sarebbe "il modo più dolce, sensibile e rispettoso di entrare nella vita".

 

RISCHI

Se è vero che oggi, in accordo con quanto raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità, anche le raccomandazioni italiane sul taglio del cordone ombelicale, firmate nel 2017 da varie società scientifiche, invitano a tagliare il cordone a tre minuti dal parto, e non prima di un minuto (a meno di particolari emergenze), è altrettanto vero che la pratica del Lotus Birth è invece sconsigliata da vari gruppi di esperti.

Posizioni contrarie sono state espresse per esempio dalla Società italiana di neonatologia, come dal Royal College of Obstetricians and Gynecologists e dall'American College of Obstetricians and Gynecologists. Il motivo di tanta contrarietà? La preoccupazione che la pratica possa costituire un veicolo di infezioni potenzialmente molto pericolose per il neonato, a fronte della carenza di prove scientifiche che ne dimostrino il vantaggio reale per la mamma e per il bebè.

Per assicurare adeguate scorte di ferro e cellule staminali al neonato, infatti, è più che sufficiente, secondo la letteratura scientifica a disposizione, il taglio “ritardato” a tre minuti. Lasciare la placenta attaccata più a lungo, anche per giorni, potrebbe invece esporre il bambino a infezioni pericolose.

Lo testimonierebbero alcuni articoli scientifici che riportano appunto casi clinici di neonati andati incontro a gravi infezioni – dall'epatite alla sepsi all'infezione cardiaca – dopo un parto Lotus Birth.

E un recentissimo articolo pubblicato su Nature ha evidenziato come il 5% delle placente di un campione di oltre 570 partorienti presentava contaminazione da streptococco di gruppo B, un patogeno che può causare sepsi nei neonati.

LOTUS BIRTH IN OSPEDALE


Secondo la Società italiana di neonatologia, inoltre, la pratica pone anche particolari problemi dal punto di vista giuridico. “Nel nostro Paese le Linee Guida ministeriali sul parto non contemplano questa procedura, come tale non riconosciuta a livello nazionale. In caso di conseguenze negative per madre e bambino, si potrebbe creare un problema di natura giuridica per la struttura ed il medico che decidono di attuarla”.

Non a caso, alcuni importanti ospedali italiani, ai quali era stata inoltrata la richiesta di effettuare questa pratica, non l'hanno praticata perché «non consente il rispetto delle norme igienico-sanitarie vigenti e perché il rischio infettivo è reale». Inoltre la SIN ricorda che la placenta non può essere portata al di fuori dall’ospedale in quanto rifiuto speciale che, come tale, va smaltito secondo la normativa vigente.


Anche l’eventuale sottoscrizione del consenso informato da parte dei genitori, secondo il parere legale commissionato dalla SIN allo studio Granata di Milano, "potrebbe essere ritenuto non idoneo ad annullare la responsabilità del medico curante e della struttura per un ipotetico giudizio che potrebbe insorgere in seguito a danni al neonato".

Se questa procedura venisse effettuata, magari nel caso di un parto in casa (che è comunque sconsigliato dalla SIN), i medici raccomandano un attento controllo del neonato «per identificare precocemente segni clinici di una possibile infezione».

Revisionato da Valentina Murelli

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