Quando una donna scopre di aspettare un bambino inizia un percorso non sempre facile. Dubbi, domande, false credenze, paure si affollano nella sua mente. E spesso i racconti di amiche o conoscenti, anziché essere di aiuto, fanno aumentare l'ansia. L'unica persona che è di conforto alla futura partoriente diventa così il ginecologo, che risolve le ansie e i dubbi prescrivendo esami su esami.
La giornalista Rossana Campisi ha voluto vederci chiaro e ha scritto un libro inchiesta, "Partorirai con dolore" (BUR), proprio per capire che cosa si muove dietro il "sistema maternità" in Italia e per aiutare le donne a riprendersi in mano la gestione della propria gravidanza e del parto. Noi di nostrofiglio.it l'abbiamo intervistata.
Rossana, perché hai scritto questo libro?
L'idea del libro è quella di informare le donne su quello che sono la gravidanza e il parto.
Fino agli anni ’30 del secolo scorso il parto era un evento casalingo, circondato da un'atmosfera tutta femminile dove l'ansia era assente. Oggi invece si assiste a una medicalizzazione eccessiva. Inoltre le donne non sono bene informate di quello che le aspetta. Una volta si assisteva al parto della sorella, della zia... oggi invece si arriva impreparate.
Le partorienti non sanno nemmeno che tipo di dolore dovranno affrontare. Una volta il dolore delle mestruazioni era una sorta di "allenamento" al travaglio, oggi, invece, non si conosce nemmeno questo dolore: appena si presenta, si prende subito una medicina.
Come spiega Alessandra Kustermann, primario della clinica Mangiagalli, alla donna quello che manca oggi è la conoscenza dei tempi del parto e del dolore. I tempi possono arrivare fino a 24 ore e per il dolore basta prepararsi: è stato dimostrato che la paura aumenta il dolore stesso ma se una donna sa cosa l'aspetta, ha anche meno paura.
Le donne devono sapere che ogni singola contrazione dura 10 secondi e ha l'acme al decimo, poi scema: se si affronta senza paura, di fatto il momento più doloroso dura dieci secondi per ogni minuto della contrazione.
Se al corso preparto le donne vengono preparate ad affrontare con tecniche di rilassamento l'arrivo dell'apice del dolore tutto cambia, tanto che alcune, tra una contrazione e l'altra, riescono persino ad addormentarsi.
Quindi basterebbe una buona informazione per affrontare il parto?
Quello che voglio dire è che tutte le donne sono capaci di di partorire. Diventano incapaci quando c'è un'eccessiva medicalizzazione.
In un parto fisiologico, cioè senza complicazioni, non si dovrebbe ricorrere né alla somministrazione di ossitocina, un ormone sintetico che induce contrazioni non naturali e quindi più dolorose e più difficili da gestire, né tantomeno all'episiotomia, l'incisione chirurgica del perineo. Addirittura questa operazione viene spesso compiuta dai medici senza nemmeno avvertire la donna, che se la ritrova a parto avvenuto. Inoltre, nella maggior parte dei casi viene eseguita senza una reale necessità.
Anche il parto cesareo, una vera e propria operazione chirurgica, viene spesso effettuato senza che ce ne sia davvero bisogno. Le donne che hanno paura del dolore e scelgono il cesareo, devono essere informate che il dolore postoperatorio di un cesareo alla lunga è peggiore del parto vaginale. Inoltre il Ministero della Salute ha più volte sottolineato che, rispetto a chi partorisce naturalmente, una donna sottoposta a cesareo ha un rischio triplo di decesso e casi di complicanze e lesioni fino a trentasette volte più frequenti.
Insomma il cesareo andrebbe evitato?
Per carità, se è necessario è uno degli interventi chirurgici più efficaci e risolutivi in assoluto. Ma è l'abuso il problema. L'Oms ci ammonisce da anni che solo il 10% dei parti lo dovrebbe richiedere, mentre in Italia abbiamo realtà come la Campania con il 62% dei cesarei.
Ma perché tanti cesarei in Italia?
Ci sono almeno tre fattori: il travaglio di un parto può durare 24 ore, mentre un cesareo programmato si risolve in poco tempo e questo per i medici e l'ospedale è molto più conveniente. Poi c'è un discorso economico: anche il cesareo viene rimborsato dal sistema Sanitario Nazionale ed è molto più costoso rispetto al parto naturale; infine il cesareo espone il medico a un minor rischio di denuncia o sentenza di colpevolezza.
Ogni parto naturale si porta dietro una dose di rischio che non accetta più nessuno. Il risultato è che la manualità necessaria per seguire un travaglio si perde.
Ma come si fa a scegliere l'ospedale giusto?
Anche in qui è l'informazione che fa la differenza. Le donne hanno il diritto di andare a farsi un giro negli ospedali e richiedere all'ufficio relazioni pubbliche quanti cesarei, episiotomie e somministrazioni di ossitocina vengono effettuate.
Una struttura amica delle mamme non dovrebbe usare l'ossitocina per più di una donna su 10, non praticare l'episiotomia a più di una donna su cinque, non operare taglio cesareo a più di una donna su 10 e a non più di 3 donne su 20 (il 15%) negli ospedali che trattano bambini a rischio (dove quindi c'è una TIN, terapia intensiva neonatale).
Inoltre forse non tutte sanno che dopo un cesareo si può fare un parto vaginale. Quindi è importante trovare una struttura dove almeno sei donne su 10 con precedente cesareo hanno poi partorito per via vaginale.
Un'ultima cosa da verificare nell'ospedale che si sceglie è di informarsi che il papà possa entrare in sala parto: infatti pare che la presenza del compagno migliori l'esito del parto. Paolo Scollo, presidente nazionale della società italiana di ginecologia e ostetricia, ha sottolineato più volte che l'uomo deve esserci sempre, soprattutto durante il travaglio.
Che cosa è emerso invece sull'epidurale?
L'analgesia epidurale fa parte delle prestazioni e dei servizi che il sistema sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, ma in realtà è presente h24 solo nel 16% delle strutture.
Le donne però devono sapere che l'analgesia farmacologica dovrebbe essere solo una carta in più da giocare se si è terrorizzati o si ha una soglia del dolore molto bassa. Esistono altre tecniche di analgesia naturale che si possono usare prima di ricorrere all'epidurale: fare una doccia calda, ascoltare della musica, farsi massaggiare, usare tecniche di respirazione, L'epidurale, se è non fatta bene, può allungare la durata del travaglio o aumentare le possibilità che si ricorra all'episiotomia o alle ventose.
Meglio allora un parto naturalista in casa?
No, quello che voglio dire è che tra il modello attuale ipermedicalizzato e quello naturalista deve esserci una via di mezzo. È la libertà che ogni donna deve avere di decidere per il proprio bene.
E per poter scegliere deve essere ben informata ed è quello che ho cercato di fare con il mio libro.
Il parto dovrebbe essere personalizzato. Ogni donna che non presenta problemi dovrebbe essere seguita da un'ostetrica per tutto il travaglio e durante il parto. Il medico e i farmaci vanno benissimo, ma solo in caso di reale bisogno.
Esistono già ospedali all'avanguardia dove ci sono due ambulatori, uno per le gravidanze fisiologiche, di cui si occupano solo le ostetriche, e uno per quelle patologiche, seguite dai medici. Queste realtà si trovano già in Italia, uno è l'ospedale di Rimini e l'altro è l'ospedale civico di Palermo.
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A chi può rivolgersi una donna incinta per avere un sostegno?
Oggi le donne che aspettano un figlio sono molto più sole di una volta e meno istintive, per questo si circondano di medici. Hanno bisogno che qualcuno le rassicuri. Sessant'anni fa c'era la vicina di casa, le zie, le amiche: una rete femminile che oggi non esiste più.
Anche i consultori, nati negli anni '70, hanno perso il loro ruolo e molti sono stati chiusi.
Il consiglio è quello di non rimanere da sole, la solitudine fa male alla gravidanza.
Prima di tutto ricercare nella propria città se ci sono ancora consultori attivi, oppure rivolgersi a gruppi privati di ostetriche. Un altro aiuto concreto può venire dalle doule. Queste sono figure che non hanno competenze sanitarie come le ostetriche, ma stanno vicino alle donne, le sostengono e danno informazioni preziose, possono stare in sala parto e seguire tutto il travaglio. Il costo di questo sostegno in alcuni Paesi è rimborsabile, in Italia non ancora.
Insomma è fondamentale che le donne riacquisiscano la loro autodeterminazione nel fare i figli. Deve essere la futura madre ad avere il controllo del corpo e non il dottore.
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Un'ultima cosa: sostieni che per gli esami prenatali ci sia troppa medicalizzazione. Spiegaci meglio ...
Sì, a partire dalle ecografie (alcune donne ne fanno addirittura 20, quando ne basterebbero 2) fino all'amniocentesi, esame prenatale ormai diffusissimo e offerto gratuitamente dal sistema sanitario dopo i 35 anni.
Lo scopo di questo esame è avere con certezza il quadro delle cromosomopatie. Si tratta però di una tecnica invasiva, chi la fa rischia un aborto spontaneo: accade nell'1% dei casi, ma statisticamente non è poco.
Il fatto è che esistono altri esami molto più sicuri. Oltre al test del Dna, arrivato in Italia nel 2013, ma ancora molto sofisticato e caro, c'è un esame affidabile al 90%: è il test combinato traslucenza nucale+bitest. Questo test per ora è solo raccomandato e non obbligatorio. Potrebbe invece ridurre di un quarto le attuali amniocentesi. Ma il servizio sanitario nazionale non prevede la gratuità e costa un ticket di circa 80 euro.
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