La colestasi gravidica - o colestasi intraepatica della gravidanza - è una malattia del fegato che insorge solo in gravidanza e che, se trascurata, può provocare complicanze anche serie al bebè. Quali sono i segnali di questa patologia e come curarla? Rispondiamo con l'aiuto del ginecologo Flavio Del Savio, già direttore del Dipartimento materno-infantile degli Ospedali Riuniti di Ancona.
E’ una condizione patologica che comporta un accumulo di sali biliari nel fegato e nella maggior parte dei casi si manifesta alla fine del secondo o all'inizio del terzo trimestre di gravidanza (anche se può comparire anche prima).
Colpisce all'incirca l'1-2% delle donne in gravidanza, anche se la sua incidenza è molto variabile da nazione a nazione: per ragioni che non sono ancora del tutto chiare, ma sono probabilmente legate a predisposizione genetica, le future mamme scandinave e cilene hanno probabilità più elevate di sviluppare la colestasi rispetto alle donne di altri Paesi, così come in Italia ci sono regioni in cui la diffusione è più elevata.
Il sintomo tipico è un prurito della pelle, che può interessare qualunque parte del corpo ma in genere comincia alle piante dei piedi e delle mani, per poi generalizzarsi. Il prurito si manifesta soprattutto durante la notte e può essere così intenso da limitare la qualità della vita della donna.
In presenza di questo caratteristico prurito, la conferma della diagnosi viene dall'esito di specifici esami del sangue, come il dosaggio degli acidi biliari, della bilirubina e delle transaminasi, se confermano la concentrazione di bile nel fegato.
Non conosciamo ancora con precisione le cause della colestasi ma si ipotizza che siano coinvolti diversi fattori:
Quello che sappiamo è che, riversandosi in eccesso nel sangue e nei tessuti, i sali biliari determinano un'irritazione dei nervi periferici che a sua volta provoca una sensazione di prurito talvolta di intensità insopportabile. Contrariamente a quel che si credeva in passato, invece, oggi si ritiene che il prurito non sia affatto associato alla liberazione di istamina: a conferma di ciò, i farmaci antistaminici si sono rivelati del tutto inefficaci.
Tendenzialmente no. Va però segnalato che può esserci una maggior tendenza alle emorragie post partum causata da un malassorbimento della vitamina K associata alla malattia (la vitamina K è una sostanza coinvolta nei meccanismi di coagulazione del sangue). Questo inconveniente può tuttavia essere facilmente superato fornendo alla mamma supplementi di vitamina K nelle ultime settimane di gravidanza.
Per il resto, espletato il parto, tutto passa e anche il prurito finalmente cessa; per i primi tre mesi però si devono tenere sotto controllo i valori biliari e l’ittero, per verificare che tutto sia tornato nella norma.
Studi recenti stanno facendo emergere che la colestasi, se trascurata, può provocare danni anche seri al bambino, come sofferenza fetale, morte endouterina, asfissia neonatale o morte neonatale.
Questo perché l’accumulo di acidi biliari nel sangue può ridurre la sintesi di surfattante polmonare, una sostanza prodotta dal feto che induce la maturità polmonare e consente al bambino l’autonomia respiratoria al momento della nascita. In più, possono provocare l’immissione di meconio (le prime feci prodotte dal bambino) nel liquido amniotico che, inalate, possono dare asfissia subito dopo la nascita.
Per questo motivo le linee guida internazionali consigliano di non procrastinare il parto oltre le 37 settimane, quando potrebbero presentarsi i maggiori rischi.
Sicuramente la colestasi ha radici genetiche: a dimostrarlo c’è il fatto che vi sono zone geografiche dove si presenta con maggior frequenza, così come il fatto che tende a riproporsi nelle gravidanza successive ed è più probabile se già la mamma o la sorella ne hanno sofferto.
Inoltre sono più soggette le donne che aspettano gemelli, per il semplice motivo che si produce una maggior quantità di estrogeni che sovraccarica più facilmente il fegato. Alle donne che hanno avuto colestasi gravidica si sconsiglia dopo il parto l’assunzione della pillola anticoncezionale estro-progestinica, perché potrebbe indurre gli stessi sintomi.
Altre fonti per questo articolo: materiale informativo sul sito Emedicine/Medscape