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Epatite B e C in gravidanza: tutto ciò che bisogna sapere

di Francesca De Ruvo - 16.12.2021 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Avere l'epatite B o l'epatite C non costituisce un impedimento all'iniziare una gravidanza, ma è importante che la donna sia seguita da uno specialista

In questo articolo

L'epatite B e l'epatite C sono malattie del fegato che possono causare epatite cronica, cirrosi epatica, cancro del fegato e insufficienza epatica; tutte patologie che possono manifestarsi anche diversi anni dopo il contagio. Se l'epatite B o C viene contratta durante la gravidanza c'è la possibilità che venga trasmessa al feto, specie se il contagio avviene nel terzo trimestre. Vediamo insieme tutto ciò che è necessario sapere sulla prevenzione, la diagnosi e la cura dell'epatite B e dell'epatite C in gravidanza.

Epatite B: cos’è, come si trasmette e come si manifesta

L'epatite B è una malattia del fegato causata dal virus dell'epatite B (HBV) e si stima che nel nostro paese i portatori del virus siano circa 500 mila. La malattia può essere acuta oppure cronica a seconda che l'infezione duri più o meno di 6 mesi. Si tratta di una malattia che non deve assolutamente essere sottovalutata perché, come riporta il Ministero della Salute, è causa del 30% dei casi di cirrosi epatica e del 53% dei casi di tumore al fegato (carcinoma epatocellulare).

L'epatite B si trasmette attraverso rapporti sessuali non protetti e, più in generale, tramite il contatto con sangue o fluidi corporei infetti.

In caso di contagio, dopo un'incubazione molto lunga che può durare circa 2-6 mesi, l'epatite B decorre nel 90% dei casi in modo asintomatico, senza cioè che la persona se ne accorga. Nel restante 10% dei casi, invece, l'infezione si trasforma in un'epatite acuta con sintomi più o meno evidenti come:

  • malessere;
  • inappetenza;
  • dolori muscolari;
  • nausea;
  • febbre.

L'epatite acuta nel 90% dei casi si risolve con una guarigione completa e si diventa immuni al virus, mentre nel 10% dei casi la malattia si evolve verso l'epatite cronica che a sua volta si divide in due forme:

  • epatite cronica asintomatica, cioè si diventa portatori sani di HBsAg;
  • epatite cronica attiva, cioè presenza di HBsAg e danni al fegato.

Se il contagio avviene durante la gravidanza

L'epatite B può essere trasmessa anche dalla madre al proprio bimbo:

  • durante la gravidanza (trasmissione intrauterina, abbastanza rara). L'infezione passa dal sangue della madre al sangue del figlio attraverso la placenta;
  • nel momento del parto, trasmissione intra-parto;
  • dopo il parto, ad esempio durante l'allattamento se sono presenti ragadi o altre lesioni del capezzolo.

Nel caso in cui l'infezione da epatite B venisse contratta durante la gravidanza, il rischio di trasmissione della malattia al feto è legato all'epoca gestazionale in cui si verifica il contagio.

In poche parole, se il contagio avviene nelle prime settimane di gravidanza, ci sono buone possibilità che l'infezione non venga trasmessa al feto dal momento che l'eliminazione del virus e la guarigione avvengono prima del parto. Al contrario, se il contagio avviene nel secondo trimestre di gravidanza c'è una probabilità di trasmissione al feto del 6% che sale al 70% se il contagio avviene nel terzo trimestre.

Purtroppo, più del 90% dei bambini che si infettano alla nascita diventano portatori cronici del virus dell'epatite B.

Lo screening per l’epatite B in gravidanza

Come indicato nelle Linee guida del Ministero della Salute, dagli anni 2000 in Italia è previsto lo screening per l'epatite B in tutte le donne incinte, da eseguire nel terzo trimestre di gravidanza, più o meno intorno all'ottavo mese. L'infezione può essere diagnosticata cercando un sangue una sostanza chiamata HBsAg: la sua presenza nel sangue indica che c'è in corso un'infezione da epatite B.

Se il test è negativo: significa che non è stato trovato l'antigene e quindi la futura mamma è sana. Il bambino dovrà poi essere vaccinato contro l'epatite B come previsto dal calendario vaccinale.

Se il test è positivo: significa che c'è un'infezione in corso. In questo caso il piccolino andrà sottoposto a una terapia specifica subito dopo la nascita.

Positiva all’epatite B in gravidanza

In caso di positività della donna è necessario somministrare al neonato nelle prime ore di vita delle immunoglobuline specifiche anti-virus dell'epatite B e anche la prima dose di vaccino antiepatite B entro 12/24 ore dalla nascita. Il ciclo di vaccinazione va poi completato con altre 3 dosi, rispettivamente a 4 settimane, 8 settimane e a 11-12 mesi. La profilassi previene l'insorgenza della malattia acuta e quindi la sua cronicizzazione. In questo modo il neonato non dovrà essere isolato e potrà essere tranquillamente allattato al seno (in assenza di ragadi o sanguinamento del capezzolo).

Purtroppo, un piccolo numero di neonati nati da madri portatrici croniche del virus dell'epatite B si infetta nonostante l'esecuzione della profilassi con vaccino e immunoglobuline. Questo può dipendere dal numero di copie del virus presenti nel sangue della madre (viremia). Infatti, se il numero di copie del virus presenti nel sangue è molto alto, la profilassi potrebbe rivelarsi inefficace.

Per scongiurare questo pericolo, nelle donne in cui viene rilevato un numero molto elevato di virus nel sangue è indicato, durante il terzo trimestre, il trattamento con farmaci antivirali.

Infine, per quanto riguarda la modalità del parto, non ci sono prove che il parto tramite taglio cesareo sia preferibile rispetto al parto vaginale per evitare il rischio di trasmissione dalla madre al neonato dell'infezione da virus epatite B.

Come prevenire l’epatite B

Per prevenire il contagio è necessario adottare alcune misure di protezione, tra cui avere sempre rapporti sessuali protetti. La più efficace misura di prevenzione rimane però la vaccinazione antiepatite B che in Italia è obbligatoria dal 1991. La vaccinazione ha infatti permesso di ridurre del 70% il rischio di cancro del fegato.

Epatite C: cos’è e come si trasmette

Passiamo ora all'epatite C e alle sue relative conseguenze sull'andamento della gravidanza. Secondo le linee guida sulla gravidanza fisiologica del Ministero della Salute, l'epatite C è un grave problema di salute pubblica poiché, come l'epatite B, essendo una malattia del fegato, rappresenta una delle principali cause di cirrosi epatica e tumore del fegato. Secondo le stime questa malattia in Italia colpisce circa un milione e mezzo di persone, anche se molte persone non ne sono a conoscenza perché nella maggioranza dei casi è una patologia che non dà sintomi.

Il virus dell'epatite C si trasmette attraverso:

  • trasfusioni di sangue;
  • contatto con sangue infetto;
  • tatuaggi e piercing eseguiti senza rispettare le normali norme igieniche;
  • rapporti sessuali non protetti;
  • uso di droghe iniettabili (anche una sola volta può bastare a contrarre l'infezione).

Inoltre, come per l'epatite B, anche l'epatite C può essere trasmessa dalla madre al proprio piccolino nel momento del parto.

Screening e diagnosi per le donne incinte

Le linee guida sulla gravidanza fisiologica non ritengono necessario eseguire lo screening per l'epatite C in tutte le donne incinte, ma solo per quelle che presentano alcuni fattori di rischio, come ad esempio le donne con un partner positivo all'epatite C oppure quelle che fanno uso di droghe iniettabili.

Dello stesso parere è la Society for Maternal-Fetal Medicine (SMFM) che ha pubblicato recentemente le nuove linee guida per il trattamento dell'infezione da HCV in gravidanza, approvate anche dall'American College of Obstetricians and Gynecologists.

La diagnosi dell'epatite C avviene quindi tramite le normali analisi del sangue, anche se deve essere esplicitamente richiesto il test dell'HCV, che appunto di norma non è incluso. Nelle donne incinte si esegue un primo test su un campione di sangue e, in caso di esito positivo, il test viene replicato per confermare il risultato. Se anche il secondo esame è positivo si procede all'esecuzione di un test su un secondo campione di sangue per essere certi della diagnosi.

Negli studi italiani la positività al virus dell'epatite C in gravidanza varia da 0.4% a 2.4%.

Se la futura mamma è positiva all’epatite C

Cosa succede quindi una volta confermata la diagnosi? Fortunatamente l'infezione da epatite C non comporta un aumento del rischio di complicanze ostetriche, malformazioni congenite o nascita pretermine. Significa quindi che avere l'epatite C non costituisce un impedimento alla gravidanza che però dovrà essere monitorata da uno specialista.

Attenzione, però, se si sta seguendo un trattamento (sia la donna che il suo partner) per l'epatite C con interferone e ribavirina la gravidanza va evitata per il rischio di gravi malformazioni fetali.

Il rischio di trasmissione del virus in una donna HCV positiva in gravidanza al suo bambino è del 5-6%, e poiché la trasmissione si verifica per lo più durante il parto, non è necessario ricorrere al cesareo solo per la positività al virus dell'epatite C.

Il rischio di trasmettere la malattia al bambino aumenta se la mamma ha contemporaneamente un'infezione da HIV.

Cosa succede dopo il parto?

Su 100 bambini nati da mamme positive all'epatite C, 5-6 di loro potranno risultare a loro volta positivi. Nei bambini che si sono infettati con il virus l'evoluzione della malattia è di solito benigna e spesso è sufficiente il semplice controllo nel tempo.

Dopo la nascita il piccolino potrà essere tranquillamente allattato dalla propria mamma: l'allattamento, infatti, è caldamente raccomandato a meno che non vi siano ragadi o sanguinamenti al capezzolo.

Altre fonti utilizzate per l'articolo: materiale informativo della Società Italiana di Pediatria (SIP); materiale informativo dell'istituto Superiore di Sanità (ISS); linee guida dell'Associazione Americana per lo Studio delle Malattia del Fegato (AASLD); materiale informativo del Ministero della Salute.

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