Il primo messaggio da lanciare alle donne con lupus eritematoso sistemico – malattia autoimmune che fino a pochi decenni fa era considerata controindicazione assoluta alla gravidanza - è che avere un bambino è possibile. La stragrande maggioranza delle donne con questa sindrome può affrontare serenamente la ricerca di un figlio, con ottime possibilità di riuscire a coronare il suo sogno.
Ma attenzione, e questo è il secondo messaggio importante: “Perché questo accada bisogna mettersi nelle giuste condizioni” avverte Laura Andreoli, reumatologa degli Spedali civili di Brescia e tra gli autori delle raccomandazioni europee per la gestione della gravidanza in caso di lupus o di sindrome da anticorpi antifosfolipidi. In occasione della Giornata mondiale del lupus, che si celebra il 10 maggio, vediamo dunque di quali condizioni si tratta, con la consulenza di Andreoli e del ginecologo Andrea Lojacono, altro autore delle raccomandazioni e referente dell’Unità operativa di ostetricia 1 sempre agli Spedali civili.
Il lupus è una malattia cronica autoimmune, in cui cioè il sistema immunitario “attacca” l’organismo stesso. “In realtà si tratta di una sindrome, caratterizzata da un caleidoscopio di manifestazioni a carico di diversi organi e tessuti” chiarisce Andreoli. Sintomi e quadri clinici possono essere anche molto differenti da paziente a paziente.
Tra i sintomi più comuni si trovano:
La malattia può coinvolgere anche i reni (causando nefrite), polmoni (con pleurite), sistema sanguigno (con anemia, calo di piastrine o altro) e altri organi.
Il lupus è più frequente nelle donne – il rapporto è di 9 a 1 rispetto agli uomini – e spesso comincia a manifestarsi proprio in età fertile. L’andamento è in genere altalenante, cioè si alternano momenti in cui la malattia è attiva, e i sintomi si fanno sentire, e momenti in cui è silente: gli esperti dicono in remissione. “Un’altra caratteristica è che può cambiare nel tempo: la stessa persona colpita può avere negli anni manifestazioni differenti”.
Dal lupus non si può guarire, al momento non esiste una terapia definitivamente in grado di sconfiggerlo. Ci sono però vari farmaci che permettono di tenerlo sotto controllo, attenuando considerevolmente le sue manifestazioni e riducendo i momenti di attività. “Tra questi per esempio l’idrossiclorochina - considerato farmaco d'elezione in gravidanza - i corticosteroidi, presi per bocca in terapia di mantenimento o anche per via endovenesa se la malattia si riaccende, oppure immunosoppressori classici come ciclosporina” spiega la reumatologa.
Un lupus che non sia adeguatamente sotto controllo può comportare un aumentato rischio di aborto e complicanze ostetriche come preeclampsia, tanto più grave quanto più precocemente si manifesta, ritardo di crescita fetale, basso peso alla nascita, parto prematuro.
“Tutti rischi che hanno strettamente a che fare con problemi vascolari” chiarisce Lojacono. “Questo perché il lupus, come tutte le malattie autoimmuni, comporta infiammazione dei vasi sanguigni (gli esperti parlano di vasculiti) e può dunque mettere in crisi l’organo vascolare per eccellenza della gravidanza, la placenta”.
Il quadro di rischio è peggiore se, oltre al lupus, sono presenti anche anticorpi antifosfolipidi.
Non c’è invece un effetto particolare della gravidanza sull’andamento della malattia: se la terapia è adeguata il rischio di riacutizzazione in corso di gravidanza è limitato. “Se però la riacutizzazione c’è, non è il caso di disperarsi: può essere affrontata con farmaci compatibili con la gravidanza” tranquillizza Andreoli.
“La cosa fondamentale da sapere è che per le donne con lupus la gravidanza non è un desiderio irrealizzabile, ma un obiettivo raggiungibile a patto che vada pianificata per bene” chiarisce subito la reumatologa. Specificando che “pianificare” significa arrivare alla ricerca di un bambino con una malattia sotto controllo, quindi non in fase di attività, grazie a trattamenti su misura per ogni singola paziente.
Posto che l’ideale è aspettare il momento giusto per cercare la gravidanza, una volta che questa parte viene automaticamente considerata a rischio. “Un rischio variabile, più alto in alcuni casi e più basso in altri, perché le manifestazioni della malattia possono essere molto diverse, ma che va monitorato con attenzione” chiarisce Lojacono.
Così, le donne con lupus devono affrontare qualche controllo in più: per esempio esami del sangue per valutare lo stato di attività della malattia – all’incirca una volta al mese – o indagini sul benessere fetale. Tra queste, la flussimetria o doppler, che permette di valutare la circolazione a livello del feto e della placenta e di capire come stanno andando le cose. “Se a 20-24 settimane tutto è normale, molto probabilmente non ci saranno problemi e la gravidanza arriverà a termine, con un bambino di buon” afferma Lojacono.
Se è importante che la malattia sia quiescente nel momento in cui si cerca un bimbo, è altrettanto importante che sia mantenuta sotto controllo durante la gravidanza stessa. A questo proposito, molte donne temono che i farmaci da prendere potrebbero nuocere al bambino, ma Andreoli su questo punto è molto rassicurante: “Ci sono farmaci assolutamente compatibili con la gravidanza, e poi anche con l’allattamento, dunque la donna può stare tranquilla”.
Se la gravidanza parte, ai farmaci per il controllo del lupus in genere se ne aggiungono altri per favorire la formazione e la crescita della placenta e la crescita fetale: “Si tratta dell’aspirinetta e dell’eparina a basso peso molecolare se sono presenti anche gli anticorpi antifosfolipidi” chiarisce il ginecologo.
E per quanto riguarda la modalità del parto? “Se tutto va bene, non ci sono controindicazioni a quello vaginale ” spiega Lojacono. Se invece c’è qualche complicazione, verrà valutato caso per caso se sia invece più opportuno procedere con un cesareo. “Anche in assenza di problemi, però, in genere si preferisce evitare di superare il termine e indurre il parto tra le 38 e le 40 settimane, a seconda delle situazioni” conclude il ginecologo.
“I farmaci compatibili con la gravidanza in genere lo sono anche per l’allattamento, per cui di solito non c’è necessità di sospenderli o modificarli” afferma Andreoli.
Dopo l’arrivo del bebè, il problema è piuttosto il fatto che, anche comprensibilmente, la mamma tende a concentrarsi tutta su di lui e a trascurare sé stessa, magari ignorando i segni di una malattia che si sta riaccendendo – come una certa rigidità al mattino – o saltando gli esami del sangue o i controlli con il reumatologo.
“Invece è molto importante che la mamma non dimentichi di avere una malattia cronica, che deve essere seguita con una certa costanza dagli specialisti” sottolinea Andreoli. “Il mio consiglio è di non essere timida nel chiedere aiuto per affrontare questo aspetto della sua vita, per esempio facendosi accompagnare da qualcuno ai controlli in ospedale, in modo da avere una mano nella gestione del piccolo durante la visita o gli esami”.
Altre fonti per questo articolo: articolo sul lupus su Medscape