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Voglio solo il mio papà

di Nostrofiglio Redazione - 08.07.2008 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
A volte i bambini sembrano preferire il papà alla mamma. Come mai accade? Secondo lo psicologo, perché il papà dedica più attenzione al gioco rispetto alla mamma e il poco tempo che trascorre a casa diventa preziosissimo per il bambino.

Figli di papà?

"Pa-pa-pa-pa-pa-pa" – così farfuglia distratta mia figlia Jessi, un anno, negli ultimi tempi spesso e volentieri mentre la cambio. Evidentemente si diverte a chiamare il papà per nome. Solo una cosa però: quella che è davanti a lui sono io, sua mamma, anche se non esisto più da un mese. L’uomo di casa adesso è la star: non è che Jessi mi rifiuti, ma preferisce Heiko su tutta la linea. La sera lo accoglie con un grido di gioia, ride di più quando lui gioca con lei, mangia senza fiatare le sue patatine fritte, e quando deve dare la buona notte, lei a lui dà più bacini. E io sono aria: ci sono ma sono ignorata. "Cavolo, questi non sono ancora figli di papà, vista l’età! O sì, invece?

Nel secondo anno di vita i papà diventano molto attraenti per i figli. Dipende dal loro modo di giocare e dal fatto che il tempo che trascorrono con loro di solito è poco e sembra per questo più prezioso.

Cosa dice l’esperto?

"Di solito nel caso di bambini piccoli il rapporto mamma-figlio è più intimo e importante di quello papà-figlio", sostiene lo psicologo dello sviluppo Heinz Kindler, di Monaco di Baviera. "Spesso però si ha l'impressione che il papà sia il preferito. Nel secondo anno di vita i papà diventano molto attraenti per i figli. Dipende dal loro modo di giocare e dal fatto che il tempo che trascorrono con loro di solito è poco e sembra per questo più prezioso. Se però hanno bisogno di protezione o di tranquillità, rientra in campo la mamma."

Uno studio degli anni Ottanta conferma che oltre due terzi di un gruppo di bambini piccoli vogliono giocare più col papà che con la mamma. Ma quando più tardi c’è stato bisogno di essere consolati, volevano la mamma. Chi preferisce il bimbo nella maggior parte dei casi dipende dalla situazione. Che ci siano anche dei convinti figli di papà, ne è convinta la psicologa dello sviluppo Inge Seiffge-Krenke, di Magonza. "Penso che la dotazione genetica, il filo teso tra i due, giochi anche quello un ruolo importante", afferma.

"Non è mai stato studiato perché un bambino piccolo abbia un legame più stretto con il papà."

Ma che cos’ha lui che io non ho?

Torniamo a me: Sono stata sempre contenta che Heiko e Jessi si capiscano bene. "Stasera vado al cinema" – annunciarlo così serenamente non è da tutte le mamme. È solo da quando Jessi non dice più "Mamma" che sono insicura. E poi quell’affermazione così stupida alla festa dei bambini un paio di settimane fa: Jessi era molto restia ad andare nella bolgia di bambini, e tornava sempre indietro per andare in braccio a Heiko. Lui la rassicurava ogni volta: "Fidati!" All’improvviso ho sentito una signora piuttosto anziana dire: "Che robe, lì è il papà che fa la mamma!" Addirittura pure gli altri componenti del gruppo di Heiko hanno trovato piuttosto strano che abbia portato sua figlia alle prove e che l’abbia messa a suonare la batteria. E mi dà fastidio anche quello che mi ha detto mia mamma: "Cosa sbagli tu, che la piccola è così pazza di suo padre?" Forse qualcosa lui lo fa particolarmente bene.

Ancora l’esperta: "I papà giocano con più emozione" dice Inge Seiffke-Krenke, di Magonza. "Lanciano il bimbo in aria, si azzuffano e fanno confusione fino a sfinirsi. Ne sono entusiasti soprattutto i bambini che amano il movimento." Gli uomini, così dicono gli esperti, stimolerebbero i figli più potentemente dal punto di vista visivo e acustico. Dicono cavolate, fanno le boccacce – è bellissimo. "In più gli uomini credono di più nei loro figli", secondo la Seiffge-Krenke. "Ad esempio lasciano che azionino da soli il trenino elettrico o spiegano loro come funziona un motore. Così facendo aprono loro un nuovo ed emozionante mondo. Più il bimbo è curioso, più gli piacerà. Che la mamma vada a lavorare, secondo la Seiffge-Krenke non ha nessun influsso sul maggiore attaccamento del bimbo.

I papà giocano sul fatto di essere assenti?

Ieri sera Heiko è andato un attimo in videoteca e Jessi si è messa a strillare come se la avesse abbandonata in orfanotrofio: anche questo mi ha dato un colpo pungente.

E quando Heiko mette in rilievo la sua pole position è ancora peggio: "Vuole più bene a me, con te urla e basta!", scherzava un po’ a cena, mentre Jessi voleva essere imboccata solo da lui. "Ti diverti proprio ad affondarmi, vero?", gli ho ribattuto poi. Ce n’è voluto prima che lui riuscisse a tranquillizzarmi: "Era uno scherzo. Non vedi quanto sono invidiosa del tuo stretto rapporto con Jessi?"

Quando io e la piccola siamo da sole, va tutto benissimo. Due volte la settimana la porto dalla babysitter, gli altri giorni guardiamo i libri illustrati, giochiamo a palla e a macchinine o andiamo al gruppo di gioco per incontrare altri bambini con le loro mamme. E la sua pasta biologica al prosciutto Jessi se la mangia con piacere, sempre che Heiko non le sia seduto accanto con un hamburger. Mi abbraccio e sbaciucchio mia figlia alla pari di Heiko: voglio bene a mia figlia. Nonostante ciò non mi arrivano lacrime di addio, urla di gioia o abbracci spontanei. Non la faccio ridere abbastanza? Parlo troppo poco? Leggo troppo? I dubbi sono ancora lì.

Solo una fase

Lo psicologo dell’età infantile britannico Richard Woolfson considera una fase, se i bambini preferiscono uno dei due genitori. Più precisamente la considera una fase che dovrebbe essere conclusa al più presto. Il motivo?

Lo psicologo dell’età infantile britannico Richard Woolfson considera una fase, se i bambini preferiscono uno dei due genitori. Più precisamente la considera una fase che dovrebbe essere conclusa al più presto.

In caso contrario il piccolo eliminerebbe gli effetti positivi del genitore meno amato, che si sentirebbe respinto, mentre quello più amato si sentirebbe sovraccarico. A quello che è nelle grazie del bimbo, Woolfson consiglia di dare meno attenzione al figlio e di ordinargli di stare assieme al partner ("Adesso vai a fare una passeggiata con la mamma!"). Questa poi ...!

Le differenze

Ore sei: l’idolo di Jessi si avvicina. Oggi voglio osservare Jessi. Cosa farà mai di diverso? "Ciao, tesoro!", dice buttando in aria la piccola contentissima per salutarla.

Poi le fa il solletico e dice delle sciocchezze come: "Il topolino sale sul gradino, klingeling-piippiip-klopfklopf!" Jessi ride. Io non ci riesco. Uno a zero per lui.

Cena: "Per noi ci sono le bistecche, per Jessi un omogeneizzato", dico. “Cosa? Può benissimo mangiare con noi bistecche e insalata", decreta Heiko. Ma Jessi sputa la carne che non riesce a masticare. Un punto per me.

Jessi non ne ha mai abbastanza del rituale della buona notte. "Ancora un po’, ho così poco tempo da passare con lei", indugia anche Heiko. È ben quello, mi rimbomba per la testa: io sono il giorno di Jessi, e Heiko è il suo troppo breve party dopo il lavoro! Io la sicurezza, lui la rilassatezza: ci completiamo. Non è che lei gli voglia più bene, lei glielo manifesta più apertamente. All’improvviso mi scopro felice che mia figlia abbia un papà così bravo. Anche se gli altri lo trovano cosi inusuale, è bello che lui sia così presente.

Infine, ancora una volta la parola all’esperto. Dà la conferma a quello che penso: "Ogni rapporto positivo che il bimbo ha al di fuori di quello con la mamma, gli fa bene", afferma Heinz Kindler. "Uno stretto legame con il padre è come un secondo motore sulla via che porta all’autonomia e all’autoconsapevolezza." Bello, no?

(Testimonianza di Claudine Kammerer, giornalista di Eltern)

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