Home Neonato

Come i neonati possono essere una risorsa contro il bullismo

di Stefano Padoan - 10.09.2021 - Scrivici

neonati-risorsa-contro-bullismo
Fonte: Shutterstock
Può un neonato insegnare l’empatia? Alla scoperta di Roots of Empathy, progetto innovativo che riduce gli episodi di violenza a scuola

In questo articolo

Come i neonati possono essere una risorsa contro il bullismo

Secondo gli psicologi, all'origine degli episodi di bullismo, cyberbullismo e body shaming ci sono assenza di empatia, di solidarietà e di capacità di mettersi nei panni dell'altro. Capire cosa sta provando un'altra persona, però, non è una capacità innata ma si sviluppa nell'infanzia. Un progetto altamente innovativo e in grado di allenare nei bambini questa sensibilità è Roots of Empathy (Le Radici dell'Empatia) di Mary Gordon, dove ad insegnare l'empatia è proprio un neonato. Ce lo racconta Enrica Cornaglia, Venture and Fellowship Program Manager di Ashoka Italia.

Dove si sviluppa il progetto sull’empatia attraverso i neonati: la Ong Ashoka

Mary Gordon, pluripremiata imprenditrice sociale statunitense, è una delle tante leader del cambiamento globale che ha superato le selezioni per entrare a far parte della Rete di Changemaker di Ashoka: «Siamo una ONG internazionale - spiega l'esperta - fondata nel 1980 da Bill Drayton con l'obiettivo di mettere in rete i migliori innovatori sociali; si tratta di persone intraprendenti che trovano una soluzione creativa a un problema radicato nella propria comunità. Siamo convinti che un progetto che nasce in un contesto locale, ma in grado di cambiare approccio, visione e paradigma su un problema possa essere replicato come soluzione globale». L'Associazione, che pone grande attenzione al tema della scuole e dell'educazione emotiva, si sta impegnando per diffondere il programma Roots of Empathy in tutto il mondo.

Empatia grazie ai neonati: il progetto Roots of Empathy

Cambiare il mondo un bambino alla volta: è questo l'approccio di Mary Gordon che nel 1996, osservando l'aumento della violenza nelle scuole, ideò il progetto scolastico "Roots of Empathy" in Ontario (Canada). «L'idea alla base era semplice: se in alcuni contesti di vita i bambini conoscono solo il linguaggio della prepotenza e della violenza, dobbiamo insegnare loro quello dell'empatia. Il progetto, attivabile dalla prima elementare alla terza media, prevede che una mamma con un bambino tra i 2 e i 4 mesi faccia visita ad una classe per circa due ore una volta ogni tre settimane.

Gli studenti, di fronte al neonato, sono coinvolti in un lavoro di osservazione e interazione. E il bebè insegna: mostra la sua fragilità e vulnerabilità ma, tramite i suoi progressi costanti, dà anche lezioni di tenacia di fronte ai fallimenti e voglia di riuscire».

Guidati dagli operatori, gli alunni provano a immaginare cosa vuol dire essere un neonato e a rivedere in lui qualcosa di loro: «Domande come "Come ti senti quando tu non riesci a fare qualcosa?"; "Secondo te se fai quella cosa gli piace o gli dà fastidio?" servono per esercitare la propria immedesimazione nell'altro, ma anche per rispecchiarsi emotivamente. Alla fine dell'esperienza infatti gli studenti lasciano dei messaggi per il loro piccolo amico, con auguri e speranze: "spero che riuscirai a fare questo, che non ti capiti mai quest'altro" sono frasi che aiutano i ragazzi a confrontarsi con le proprie paure e desideri, ma anche a capire che non si è da soli e che ci sono gli altri con cui si può entrare in connessione».

Perché i neonati allenano all’empatia?

Il progetto riesce, "attraverso" il neonato, a far scattare dei meccanismi fra i bambini e con gli insegnanti. Della funzione terapeutica dell'empatia parlava già lo psicanalista Heinz Kohut, che riteneva che l'esposizione ripetuta a esperienze di comprensione empatica aiutasse a conoscere meglio sé stessi e i propri limiti. Secondo i tre aspetti dell'empatia definiti da Lois Choi-Kain e John Gunderson, l'interazione con un neonato aiuta sotto più dimensioni:

  1. Reazione affettiva. In primis i bambini espongono le emozioni, condividendo con l'altro e tra loro uno stato emotivo.

  • La fragilità del neonato fa abbandonare le difese ai bambini, perché non si sentono messi in pericolo da lui; anzi notano quanto sia più vulnerabile di loro e abbia bisogno di attenzione e delicatezza.

  • Il suo essere indifeso è anche simbolo di ogni fragilità umana e delle proprie. Questo porta i bambini a una maggiore comprensione della fragilità altrui, che scoprono la tenerezza, la protezione, l'accoglienza (e non l'accanimento) come prima reazione emotiva di fronte a una debolezza.

  1. Livello cognitivo. I bambini imparano ad immaginare la prospettiva altrui.

  • I bambini leggono sempre meglio i segnali non verbali per acuire le capacità di ascolto e di mettersi nei panni del neonato: cosa gli fa e non gli fa piacere?

  • I bambini sono obbligati a pensare a cosa sia giusto per lui e non a ciò che loro pensano sia giusto, perché l'obiettivo è il suo benessere. In questo modo si riescono a censurare alcune voglie: "Se tutti ti volessero toccare, tu come ti sentiresti? Infastidito? Allora non andiamo tutti insieme a toccarlo".

  1. Capacità di mantenere in modo stabile una distinzione sé-altro.

  • I bambini si accorgono sempre di più del confine tra cosa è lecito e cosa no, dove finisco io e dove inizia l'altro. Se a loro può divertire prendere un gioco, non è detto che al piccolo faccia piacere.

  • I bambini imparano che non sono loro il metro di giudizio. Le azioni non si misurano solo rispetto all'intenzione, ma anche alla conseguenza che hanno sugli altri. Se l'altro non reagisce bene a una mia battuta, probabilmente non dovevo farla.

Gli effetti di Roots of Empathy in classe

Dal 2000 vengono condotti numerosi studi di valutazione per misurare l'impatto del programma sulle classi, che osservano:

  • Un'atmosfera in classe più positiva (maggiore senso di appartenenza e accettazione reciproca).

  • Un aumento dei comportamenti sociali positivi e socialmente adeguati come condividere, includere e aiutarsi.

  • Un calo dei conflitti e degli episodi aggressivi di almeno il 50%; dato ancora più significativo perché quasi sempre in controtendenza con classi analoghe, che invece soffrono di un aumento dei conflitti e di bullismo nel corso dell'anno scolastico.

  • Aumento dell'intelligenza emotiva dei ragazzi e dell'empatia anche nelle dinamiche di classe.

  • Maggior presa di coscienza di cosa significhi prendersi cura ed essere genitori, con una riflessione su quanto è stato fatto per loro quando erano neonati e quanto dovranno fare da grandi.

Ulteriori studi in Europa e America hanno rilevato anche che tali effetti benefici sui comportamenti dei bambini si mantengono nel tempo, anche negli anni successivi all'esperienza.

Come attivare il progetto nella propria classe

Il programma Roots of Empathy è già stato esportato in Nuova Zelanda, Stati Uniti, Costa Rica, Irlanda, Irlanda del Nord, Inghilterra, Galles, Scozia, Germania, Svizzera e Spagna. In Italia non ci sono ancora scuole e associazioni che lo hanno attivato, ma è possibile farlo: «È necessario contattare Ashoka Italia ed essere un'organizzazione che ha competenza sui temi dell'educazione e dell'infanzia; prima alcuni operatori dovranno effettuare un training specifico, poi va individuata una o più famiglie disposte a mettersi in gioco con il proprio figlio neonato. Gli istituti scolastici possono richiedere il programma solo attraverso un'organizzazione del territorio che si attrezzi per attivare il servizio presso di loro; è prevista poi anche una formazione per la famiglia e per gli insegnanti della classe interessata».

L'intervistata

Enrica Cornaglia è Venture and Fellowship Program Manager e Director Visionary Program Med edition di Ashoka Italia, sede italiana del più grande network mondiale di imprenditori sociali innovativi e rivoluzionari.​ La rete conta 3.700 imprenditori sociali in oltre 90 paesi e anche 296 Scuole Changemaker che lavorano per l'emersione di un nuovo paradigma didattico in oltre 30 paesi.

Questo è il sito ufficiale di Roots of Empathy.

TI POTREBBE INTERESSARE

ultimi articoli