Cosa fare se il bambino non parla o ripete solo poche parole? E se si arrabbia perché non riesci a capire ciò che vuole dirti? Cosa non bisogna fare? Sicuramente è fondamentale è non farsi prendere da eccessive ansie o dubbi ed è opportuno sapere che si può stimolare il linguaggio nei bambini piccoli attraverso varie tecniche e strategie.
La logopedista pediatrica Silvia Luisetti, autrice del libro Dai, giochiamo a parlare edito da Mondadori Electa, ha realizzato il volume con l'obiettivo di aiutare le mamme e i papà ad accompagnare lo sviluppo del linguaggio dei propri figli attraverso il gioco, l'alleato più prezioso per favorire la crescita linguistica e cognitiva.
Abbiamo intervistato Silvia Luisetti, chiedendole alcuni consigli preziosi al riguardo.
Silvia Lusetti è una logopedista pediatrica laureata all'Università di Modena e Reggio Emilia nel 2001. La sua carriera si è sviluppata parallelamente sull'attività ambulatoriale e online. Nel 2002 ha aperto il portale Logopedista.it, un forum online con oltre 30.000 partecipanti.
Dal 2020 ha iniziato la divulgazione scientifica sui social network, dove ha raggiunto un pubblico di oltre 200.000 follower. Raccogliendo le tante richieste di consigli e strumenti di supporto all'attività educativa, Silvia ha creato molteplici contenuti, tutti molto apprezzati dal pubblico.
Il successo del suo lavoro deriva dal perfetto binomio di qualità tecnica ed empatia, frutto di una grande preparazione professionale unita all'esperienza di essere mamma di tre ragazzi. L'ultimo lavoro, il libro Dai, giochiamo a parlare, raccoglie e sintetizza tutta l'esperienza maturata nell'accompagnare migliaia di genitori ed educatori nello sviluppo del linguaggio dei bambini.
Aiutare il bambino a parlare, gli errori da non fare
Secondo la dottoressa Lusetti stimolare il linguaggio nei primi anni di vita è importantissimo per gettare le basi di una comunicazione verbale efficace e serena.
«Un bambino non arriva con il manuale delle istruzioni, e spesso i genitori si trovano assaliti da mille dubbi su cosa fare per aiutare ed accompagnare i loro bimbi nello sviluppo del linguaggio. Esistono alcuni comportamenti che non favoriscono il linguaggio, errori che si commettono senza sapere che impediscono uno sviluppo sereno della comunicazione verbale. Ecco quali sono.
- Far finta di non capire. Parlare significa comunicare cioè condividere qualcosa con qualcuno; fingere di non aver capito mina l'intenzionalità comunicativa del bambino, che probabilmente rinuncerà a comunicare. E' importante sostenere la comunicazione ripetendo la parola, o verbalizzando il gesto del bambino per rinforzare il linguaggio e l'imitazione verbale, sostenendo il senso del parlare e la gioia di farlo con qualcuno.
- Chiedere di ripetere. Ripetere non significa parlare; chiedere ad un bambino che ancora non sa parlare di ripetere una parola è un esercizio inutile e frustrante perché sottintende: "Su, vediamo se lo sai fare". Il linguaggio non è prestazione, ma condivisione. Inoltre la parola da ripetere potrebbe essere ancora molto lontana, per lunghezza e suoni, dalle capacità motorie, cognitive e articolatorie del bambino. La ripetizione diventa invece utile e un modo per fissare la pronuncia corretta quando il bambino è sufficientemente grande per capire che la parola è pronunciata in modo diverso dal modello corretto.
- Fare confronti. Ogni bimbo ha i suoi tempi di acquisizione e il linguaggio si sviluppa in modi e tempi diversi a seconda del patrimonio genetico, degli stimoli esterni, degli interessi e del sesso; solitamente le femmine parlano prima dei maschi. Confrontare gli amichetti o i fratelli genera frustrazione e ansia nei genitori e nel bambino; ciò non significa aspettare che parli, ma "preoccuparsi", inteso nel vero significato della parola che è "occuparsi di" un eventuale ritardo o difficoltà, riuscendo a capire se è il caso di approfondire con uno specialista.
- Anticipare tutti i bisogni del bambino. I genitori conoscono il loro bimbo meglio di chiunque altro e ciò spesso li porta ad anticipare richieste e bisogni, ancor prima che il bambino li esprima. Ad esempio se il bambino vuole il ciuccio e guarda nel posto dove di solito si trova, un genitore che anticipa glielo porge ancor prima che il bambino lo indichi o lo dica, anche a suo modo. Con questo comportamento i bambini rimangono nella loro zona comfort, senza provare a comunicare in qualsiasi modo ciò che desiderano.
- Fare tante domande. Spesso si pensa che per stimolare una parola sia necessario fare tante domande: "Cos'è?, Come si chiama?, Come fa?". Chiedere insistentemente al bambino il nome delle cose che lo circondano non è un esercizio utile a stimolare il linguaggio, che deve essere funzionale alla comunicazione. Troppe domande possono portare alla rinuncia comunicativa. Esistono domande inutili da evitare perché mettono alla prova, sono troppo difficili e creano frustrazione, non riguardano gli interessi del bimbo. Si possono fare domande che il bambino può capire e a cui è in grado di rispondere con o senza parole. E se non risponde è importante che sia il genitore a farlo».
Essere bilingui aiuta?
«L'apprendimento di due lingue fin dalla nascita ha molti effetti positivi sullo sviluppo cognitivo dei bambini.
I bambini bilingue generalmente imparano a leggere prima rispetto ai coetanei monolingue, hanno una consapevolezza maggiore di suoni, parole e frasi perché sviluppano una flessibilità mentale grazie alla conoscenza di strutture linguistiche diverse.
Il fatto che il bilinguismo provochi un ritardo di linguaggio è un falso mito da sfatare; tutti gli studi concordano che il cervello del bambino sia perfettamente in grado di gestire due o più lingue simultaneamente sin dalla nascita. Nelle prime fasi di sviluppo del linguaggio potrebbe sembrare che i bambini bilingue dicano meno parole, ma il conteggio è da fare sommando i vocaboli di entrambe le lingue.
Il consiglio è sempre quello di rivolgersi al bimbo nella propria lingua madre. L'unica controindicazione al bilinguismo è se i genitori parlano al proprio bambino in una lingua in cui sono poco competenti; in quel caso il rischio è che faccia confusione».
Quando preoccuparsi se proprio non parla o non si capisce quello che dice?
«Esistono alcune tappe di acquisizione del linguaggio che, sempre tenendo conto della grande variabilità interindividuale tra i bambini, sono da considerare per capire se è il caso di effettuare un approfondimento diagnostico.
Una delle più significative è costituita da 50 parole a 18 mesi. Se un bambino a quest'età ancora non parla bisogna capire se ci sono le basi per il linguaggio e soprattutto se il bambino è sufficientemente stimolato e nel modo giusto.
Siamo predisposti geneticamente per imparare a parlare, ma impariamo a farlo sentendo parlare chi ci è vicino, in particolare nei primi anni di vita. Quindi i genitori costituiscono la miglior risorsa del proprio bambino nella stimolazione del linguaggio dei loro bimbi. Un altro criterio è l'intelligibilità dell'eloquio:
- a 18 mesi: 25%,
- a 2 anni : 50%,
- a 3 anni: 50% -75%.
Perciò è importante preoccuparsi, non nel senso di andare in ansia, ma nel vero significato letterale della parola, cioè OCCUPARSI DI, fare qualcosa per aiutare il proprio bimbo a parlare».