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Consulenti del sonno, una nuova opportunità per genitori disperati

di Alice Dutto - 04.04.2017 - Scrivici

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Fonte: Pixabay
Disperati perché il bimbo non dorme, alcuni genitori hanno deciso di rivolgersi a degli esperti che li aiutano a educare i loro figli al sonno. Ecco come funziona e cosa ne pensano gli esperti.

In questo articolo

Il sonno dei bambini è un argomento molto delicato e chi ha dei figli lo sa bene. I più fortunati hanno neonati che, fin dai primi giorni, dormono per tutta la notte. Molti altri, invece, soffrono di frequenti risvegli notturni che creano disagi a tutta la famiglia.

E c'è anche chi, stremato, decide di rivolgersi a consulenti del sonno che si propongono di rieducare i bambini alla nanna. Il tutto a un costo che può partire da un minimo di 500 euro.

COME FUNZIONA


Una di queste esperte è Rondine De Luca, che ha fondato “Le fate della nanna”, un nome evocativo che da solo spiega il servizio offerto ai genitori sull'orlo di una crisi di nervi.

«Non sono un medico, né una puericultrice, ma sono un'esperta – spiega –. È da una decina d'anni, infatti, che aiuto mamme e papà a riappropriarsi delle loro notti. Sono partita dal metodo di routine quotidiana Easy di Tracy Hogg, per poi rivederlo e reinterpretarlo. Oggi, quando vado a casa di una nuova famiglia, propongo una metodologia strutturata in funzione della mamma e dell'età del bambino, ma anche della cattiva abitudine che bisogna correggere. Sin dal primo colloquio, in funzione delle domande che faccio, riesco a capire se si può intervenire o se ci sono problemi che implicano il coinvolgimento di altri specialisti».

Solitamente, l'esperta si mette a terra, accanto al lettino e guida i genitori nell'educazione al sonno dei piccoli. «Spesso, infatti, si pensa che dormire sia qualcosa di naturale per i bambini. E invece non è così: bisogna insegnargli a fare la nanna». Una delle cose più importanti è saper riconoscere i segnali del sonno, «perché sovente i genitori mettono i bambini a letto troppo tardi o troppo presto. Poi, bisogna creare una routine prima di andare a dormire e agevolare questo momento evitando, ad esempio, di addormentare i piccoli attaccati al seno, con il ciuccio o con il biberon. Questo perché se il bambino associa quest'azione all'addormentamento quando si risveglierà la vorrà di nuovo per riprendere sonno, svegliando così mamma e papà. Ma in questo modo il sonno si trasforma in una schiavitù».

Se ci sono dei risvegli, poi, «la mamma può andare a consolare il bambino, ma senza cedere troppo.

Dopo averlo calmato, lo rimetterà a letto per farlo addormentare». I tempi, perché l'approccio abbia successo, sono variabili: «Ho visto bambini di 6 mesi metterci due giorni e altri impiegare anche una settimana o 20 giorni». Ci sono poi casi in cui il metodo non ha effetto: «Molto dipende dalla mamma, solo se è tranquilla e decisa ha successo».

IL METODO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

«Un approccio di questo tipo si può classificare di tipo cognitivo-comportamentale – spiega Oliviero Bruni, neuropsichiatria infantile del Centro del Sonno, Dipartimento Psicologia Processi Sviluppo e Socializzazione dell'Università La Sapienza di Roma –. Si basa sul creare una routine nell'addormentamento e cercare di far diventare autonomo il bambino in questo processo. Come insegniamo ai nostri figli a camminare, gli insegniamo anche a dormire».


Tra l'altro, «Se applicati in maniera coscienziosa, questi approcci non hanno particolari controindicazioni o effetti collaterali – prosegue l'esperto –. L'unica criticità è che recenti studi di meta analisi dimostrano che il bimbo si sveglia lo stesso, ma non chiama i genitori. In questo senso, si può dire che non andiamo a curare i bambini, ma il sonno dei genitori».

Dunque, ci sono situazioni in cui questi metodi sono efficaci e il piccolo impara ad addormentarsi, consolidando il sonno autonomamente, «Ma i bambini non sono tutti uguali e non hanno lo stesso tipo di reazione: non tutti si adattano e poi possono esserci anche problemi di altra natura come componenti genetiche che possono influenzare il sonno del bambino. In questi casi si cerca di trovare una causa specifica per l'insonnia e poi si passa a un trattamento farmacologico, di breve periodo».

Ci sono poi altre cause: «Stiamo scoprendo molti bambini che hanno allergie e intolleranze che possono trasformarsi in un subdolo fattore d'insonnia anche se i genitori agiscono bene» spiega Liborio Parrino, professore Associato di Neurologia, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia e Direttore del Centro di Medicina del Sonno dell'Università di Parma.

Può dunque essere corretto iniziare con un metodo di questo tipo, ma se poi ci si accorge che non ha effetto, è bene porsi delle domande.

«La prima cosa da fare è quella di rivolgersi a un pediatra e poi, se necessario, a un neuropsichiatra infantile, meglio se specializzato nella cura del sonno».

LA FRAGILITÀ DELLE MAMME


Ma perché soprattutto le mamme ricorrono a queste misure? Perché al giorno d'oggi sono da sole e perché nessuno spiega loro come affrontare questo momento senza paure e sensi di colpa, sostenendole quando la situazione diventa difficile.

«La sensazione è che i genitori di oggi, in particolare le madri, non siano preparate a gestire un bambino, perché sono le prime ad avere una vita sregolata – continua il dottor Parrino –. Oggi le donne non sono più solo madri e questo porta, molto spesso, allo sviluppo di sensi di colpa dannosi per il rapporto con il bambino».

Un esempio è il rientro a casa. Se i genitori lavorano, spesso tornano a casa tardi e vogliono passare del tempo con i loro figli, «finiranno così per giocarci insieme, eccitandoli e non favorendo il tempo del sonno». Invece, bisogna far capire al bambino che il sonno è una manifestazione «democratica, autonoma e indipendente, nel senso che è per tutti. Il sonno è e deve rimanere uno spazio indipendente, che ognuno gestisce da sé. Se il bambino riesce a imparare presto che la nanna si fa senza mamme e senza papà, in un'appagante libertà di solitudine, sarà un bene per tutti».

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