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Sindrome di Down: 21 cose da sapere su questa condizione

di Valentina Murelli - 20.03.2019 - Scrivici

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Fonte: Tatiana Dyuvbanova / Alamy / IPA
Domani, 21 marzo, si celebra in tutto il mondo la Giornata della sindrome di Down. Vediamo da cosa dipende esattamente questa condizione genetica, quali sono le caratteristiche delle persone che ce l'hanno e le prospettive della ricerca.

In questo articolo

Il 21 marzo, si celebra la Giornata mondiale della sindrome di Down, una condizione caratterizzata da un'anomalia cromosomica che interessa proprio il cromosoma 21.

Abbiamo cercato di fare luce su alcuni degli aspetti (21 in tutto) di questa condizione, anche con l'aiuto della pediatra Diletta Valentini, che segue bambini e ragazzi con la sindrome all'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, e della ricercatrice Laura Cancedda, che all'Istituto italiano di tecnologia di Genova e per l'Istituto Telethon Dulbecco si occupa di meccanismi molecolari della sindrome. Vediamo.

1. Che cos'è la sindrome di Down


È una sindrome di origine genetica, causata da un'anomalia che interessa il cromosoma numero 21 e caratterizzata da un insieme di sintomi sia fisici sia cognitivi. È la causa più comune di disabilità intellettiva nel mondo ed è associata a caratteristiche fisiche molto specifiche: viso rotondo, occhi allungati e obliqui, naso e orecchie piccoli, bassa statura, scarso tono muscolare, mani tozze.

2. Chi l'ha scoperta


Il primo a descrivere i tratti comuni della sindrome è stato a metà Ottocento il medico inglese John Langdon Down, dal quale appunto la condizione prende il nome. A scoprire che a causarla è la presenza di un cromosoma in più è stato invece negli anni Cinquanta il genetista francese Jérôme Lejeune.

3. Quali sono le cause


Di norma ciascuna cellula del nostro corpo (a parte le cellule sessuali, cioè ovociti e spermatozoi) possiede 23 coppie di cromosomi per un totale di 46 cromosomi. In genere, la sindrome di Down è dovuta alla presenza di una copia in più del cromosoma 21: ci sono dunque tre copie di questo cromosoma anziché due e per questo si parla anche di trisomia 21. A volte la triplicazione del materiale genetico non riguarda il cromosoma 21 per intero, ma solo una parte di esso.

Altre volte - ma questo succede molto più raramente - può accadere che solo alcune cellule di una persona presentino una condizione di trisomia 21, mentre altre cellule hanno il normale corredo di 46 cromosomi.

Si parla in questo caso di mosaicismo.

4. Che cosa provoca la trisomia


Come spiega una scheda sul sito web di Fondazione Telethon, in genere "il difetto genetico è congenito ma non ereditario". Significa che la trisomia non è presente nei genitori ma insorge in modo spontaneo durante lo sviluppo delle cellule sessuali (gameti) oppure subito dopo il concepimento, per errori che interessano la fase di duplicazione del materiale genetico durante la divisione cellulare o la sua ripartizione nelle cellule figlie.

Nella grande maggioranza dei casi i gameti interessati sono gli ovociti, ma nel 10% circa dei casi l'anomalia riguarda gli spermatozoi.

Sappiamo che la frequenza di queste anomalie aumenta con l'età della madre, con valori sempre crescenti a partire dai 35 anni. Si sta cercando di capire se esistano anche altri fattori di rischio.

5. Quante persone interessa


Si stima che, nel mondo, nasca un bambino con la sindrome di Down ogni 1000-1100 bambini (dati dell'Organizzazione mondiale della sanità), per un totale di circa 3000-5000 nuovi nati all'anno con la sindrome.

Per quanto riguarda l'Italia la stima è di un nato con la sindrome ogni 1200 bambini. Nel nostro paese ci sarebbero attualmente circa 38 mila persone con questa condizione, con un'età media di 25 anni.

Ascolta l'intervista a Giacomo Mazzariol, autore del libro "Mio fratello rincorre i dinosauri". Un testo che parla di sindrome di Down e accettazione e riscoperta da parte di un adolescente.

6. Come viene fatta la diagnosi


Come spiega la scheda di Telethon, "oggi la maggior parte delle diagnosi avviene in epoca prenatale. Alcuni parametri ecografici (come la translucenza nucale) permettono già nei primi mesi di gravidanza di sospettare la presenza della sindrome. Questa può poi essere confermata con tecniche quali la villocentesi o l'amniocentesi che permettono di ottenere la mappa dei cromosomi del feto (cariotipo)".

Dopo la nascita, la diagnosi viene fatta dal neonatologo a partire da osservazioni relative ad alcune caratteristiche del bambino, e confermata dall'indagine genetica sui cromosomi del piccolo (il cariotipo)

7. Qual è l'aspettativa di vita


Grazie agli avanzamenti medici, che permettono di correggere già nei primi mesi di vita eventuali malformazioni importanti, per esempio al cuore, e di seguire nel tempo eventuali altri complicazioni, oggi l'aspettativa di vita delle persone con la sindrome di Down è radicalmente cambiata. Se solo 100 anni fa la sopravvivenza media era di 10 anni, oggi nel mondo l'80% delle persone con questa sindrome supera i 50.

In Italia si stima che la sopravvivenza media sia 62 anni.

8. L'aspetto cognitivo: la disabilità intellettiva


"La sindrome di Down è sempre caratterizzata da ritardo cognitivo, che può essere però di diverso grado" afferma Diletta Valentina, pediatra responsabile del Centro dedicato ai bambini e ai ragazzi con la sindrome di Down dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma.

In particolare, gli ambiti cognitivi più interessati dal ritardo sono la memoria e il linguaggio. Le persone con la sindrome di Down hanno difficoltà a ricordare fatti, eventi, concetti, esperienze (memoria a lungo termine), ma anche le piccole informazioni che possono essere utili a svolgere un determinato compito (memoria a breve termine, per esempio ricordare le cifre di un numero di telefono per poterle digitare). Dal punto di vista del linguaggio, invece, i problemi principali sono il ritardo nell'acquisizione delle tappe di sviluppo classiche, le difficoltà nelle emissioni di suoni e quelle nell'acquisizione e nel mantenimento di regole di grammatica e sintassi. Queste disabilità possono compromettere in modo più o meno severo le capacità di apprendimento scolastico.

9. Ritardo cognitivo non significa per forza mancanza di autonomia


"Ma attenzione: al di là del grado di ritardo cognitivo che possiamo misurare con specifici test, quello che è davvero importante è il livello di autonomia che le singole persone possono raggiungere, e che in molti casi è davvero elevato" sottolinea Valentini. "Se una persona è in grado di prendere la metro per andare a scuola, al lavoro o a mangiare la pizza con gli amici, se sa farsi dare il resto dopo aver fatto la spesa, tutto sommato importa come è stato quantificato il suo ritardo cognitivo".

10. I disturbi del comportamento


"Non sappiamo esattamente perché, ma le persone con la sindrome di Down tendono ad avere una maggior predisposizione a sviluppare disturbi dello spettro autistico" afferma Valentini. In pratica: non tutti i bambini con questa sindrome avranno anche l'autismo, ma la probabilità di averlo è più elevata che nella popolazione generale.

11. Sindrome di Down e Alzheimer


La stessa cosa vale per la malattia di Alzheimer. "È ben documentato - spiega la specialista - che rispetto alla popolazione generale le persone con la sindrome di Down hanno una maggior predisposizione a sviluppare la malattia di Alzheimer già a partire dai 50 anni circa. Anche in questo caso, non è ancora chiaro il perché di questa associazione e si sta cercando di capirlo".

12. Gli effetti sulla salute e le possibili complicazioni


Secondo Valentini, dal punto di vista strettamente medico "la sindrome di Down può essere considerata una malattia cronica complessa, nel senso che si associa alla possibilità di manifestare, già alla nascita, alcune malformazioni, o di sviluppare, nel corso della vita, varie e diverse malattie".

Per esempio, il 40-50% dei bambini presenta malformazioni cardiache congenite, e molto diffuse sono anche le malformazioni intestinali, per esempio il restringimento del duodeno. "La buona notizia è che queste malformazioni vengono corrette chirurgicamente già subito dopo la nascita o nei primi mesi o anni di vita, il che ha permesso un significativo allungamento dell'aspettativa di vita" sottolinea la dottoressa. Dal 60 all'80% dei bambini, inoltre, ha problemi di udito e molti hanno problemi di vista.

Tra le varie condizioni e malattie che possono manifestarsi nel corso della vita ci sono: disturbi ormonali, come ipotiroidismo e diabete, predisposizione alle infezioni, stitichezza, reflusso gastroesofageo, celiachia, anomalie ortopediche come piede piatto, epilessia, apnee notturne e altri disturbi del sonno, malattie autoimmuni, obesità, alcuni disturbi della pelle, leucemia, malattia di Alzheimer.

"Ovviamente non significa che tutte le persone con la sindrome di Down avranno queste malformazioni e si ammaleranno di queste malattie, ma significa che corrono un rischio più elevato - a volte molto più elevato - della popolazione generale di presentarle o svilupparle, nel corso della vita" spiega Valentini. Qualcuno, insomma, potrà avere più problemi, qualcun altro meno ma è inevitabile mettere in conto una molteplicità di questioni di salute da tenere sotto stretto controllo.

13. I bambini con la sindrome di Down e le vaccinazioni


"Le persone con la sindrome di Down presentano alterazioni significative del sistema immunitario, che a volte funziona troppo, portando a malattie autoimmuni, e altre volte funziona troppo poco, portando a una maggiore suscettibilità alle infezioni, alla quale per altro contribuisce, come nel caso delle otiti, una particolare conformazione anatomica" spiega Valentini.

Proprio per via di questo "deficit immunitario", a volte i genitori dei bambini con la sindrome pensano che sia meglio evitare le vaccinazioni. "Tutto il contrario" afferma con decisione la pediatra. "Proprio perché il sistema immunitario funziona poco bisogna metterlo nelle condizioni migliori per lavorare meglio. Le vaccinazioni sono molto importanti, e sappiamo che i bambini con la sindrome di Down rispondono bene, dunque il mio invito è fare tutte quelle previste, obbligatorie e raccomandate, influenza compresa".

14. Cosa aspettarsi nei primi mesi e anni di vita di un bambino con la sindrome di Down


Come abbiamo visto, possono esserci malformazioni congenite, che andranno trattate nei modi e nei tempi adeguati. A parte questo, i bambini con sindrome di Down tendono a presentare un ritardo nello sviluppo motorio, dovuto allo scarso tono muscolare - ipotonia o, come dice Valentini, eccessiva "morbidezza" del bambino - e un ritardo nell'acquisizione e sviluppo del linguaggio, che dipende da una combinazione di vari fattori: l'ipotonia dei muscoli della bocca, ma anche le difficoltà con la memoria ed eventualmente i disturbi dell'udito.

"Per esempio, se in genere già intorno all'anno un bambino comincia a muovere i primi passi, nel caso di un piccolo con la sindrome di Down si può arrivare a farlo anche intorno ai due anni" spiega Valentini. Sottolineando però che non ci sono regole precise. "In alcuni casi, un'adeguata terapia riabilitativa permette di raggiungere le tappe previste più velocemente, magari in linea con la popolazione generale". In altri casi, se l'ipotonia è particolarmente accentuata, potrà volerci anche molto di più.

Sempre a causa dell'ipotonia, che può causare difficoltà di deglutizione e masticazione, molti bambini con la sindrome di Down presentano anche difficoltà ad alimentarsi, che si tratti di allattamento al seno o con latte artificiale o di alimentazione solida. Nei primi anni di vita possono essere dunque sottopeso, mentre via via che crescono aumenta il rischio di obesità, dovuta alla combinazione tra un'alimentazione di scarsa qualità (anche perché magari tendono a preferire bevande e cibi morbidi molto calorici) e una certa tendenza alla sedentarietà.

Per affrontare meglio queste difficoltà è fondamentale la terapia riabilitativa, da cominciare il prima possibile. Parliamo di psicomotricità, fisioterapia e logopedia che, rinforzando la muscolatura della bocca con appositi esercizi non solo promuove l'acquisizione del linguaggio ma permette anche al bambino di mangiare meglio. "Importante cominciarle il prima possibile" ricorda Valentini. "Più questi bambini vengono aiutati e stimolati, migliori sono i risultati che possono ottenere".

15. Le terapie


Una cura definitiva per la sindrome di Down non c'è. D'altra parte, non si tratta di una malattia, ma di una condizione caratterizzata da molteplici aspetti, che devono essere affrontati uno per uno, con gli strumenti più adeguati, che sia la cardiochirurgia per le malformazioni cardiache o la terapia riabilitativa per promuovere lo sviluppo muscolare.

Oltre a questo, naturalmente, vanno affrontate le singole condizioni mediche, se e quando si presentano.

16. Come dovrebbero essere seguite le persone con la sindrome di Down dal punto di vista medico


L'ideale sarebbe la presa in carico da parte di un operatore sanitario che possa avere una visione d'insieme sulla persona, e tenere in conto tutte le varie e molteplici manifestazioni della sindrome.

Le persone con la sindrome di Down possono essere curate da una molteplicità di specialisti, dall'ortopedico all'immunologo, dal cardiologo all'endocrinologo e così via. Ciascuno, per definizione, si concentra sul suo settore ma tende a trascurare la persona nel suo complesso, ma l'ideale sarebbe avere qualcuno che poi tira le fila del tutto. Esattamente quello che accade nel Centro del Bambino Gesù diretto da Diletta Valentini, e che però tutto sommato rappresenta un'eccezione. In genere, infatti, bambini e adulti con sindrome di Down in Italia sono seguiti o da neuropsichiatri o da genetisti medici.

Da questo punto di vista, potrebbe rappresentare una novità significativa, in Lombardia, il nuovo modello di presa in carico delle persone con patologie croniche, avviato nei primi mesi di quest'anno, che prevede proprio l'identificazione di un "gestore medico di fiducia" che coordini tutti gli interventi sanitari necessari.

17. L'importanza dei controlli periodici


"Bambini, ragazzi e adulti con la sindrome di Down dovrebbero eseguire controlli medici periodici non solo per tenere sotto controlli eventuali malattie già insorte e già note, ma anche per intercettare l'insorgenza di eventuali malattie i cui sintomi iniziali potrebbero essere mascherati da altre caratteristiche tipiche della sindrome" spiega Diletta Valentini.

Per esempio, uno dei sintomi tipici dell'ipotiroidismo è la stitichezza, ma le persone con la sindrome di Down soffrono già di questa condizione per una varietà di altri motivi come l'ipotonia muscolare, il fatto che tendono a bere poco e a mangiare poche fibre, la sedentarietà. "Ecco perché le linee guida dell'Associazione americana pediatri raccomandano di fare ogni anno l'esame della tiroide". Idem per la celiachia, che può manifestarsi con sintomi aspecifici come l'anemia o l'alopecia (la perdita di capelli a chiazze). "Ma di nuovo, le persone con sindrome di Down possono avere alopecia, o possono essere anemiche sempre per via un'alimentazione squilibrata".

18. L'importanza dell'alimentazione


A volte si sente parlare dei potenziali effetti benefici di alcune sostanze, per esempio gli antiossidanti o il tè verde, sugli aspetti cognitivi della sindrome di Down. Ma diciamolo subito: sono effetti magari osservati in esperimenti condotti su modelli animali in particolari condizioni controllate e ancora tutti da dimostrare negli esseri umani. "Purtroppo non esistono alimenti miracolosi in grado di incidere sulla disabilità intellettiva della sindrome di Down" chiarisce Valentini.

Detto questo, mangiare bene - in modo equilibrato e salutare - è importante per tutti, dunque anche per le persone con questa condizione. "Una dieta adeguata, ricca di frutta e verdure (e dunque di fibre) previene l'obesità, e tutte le complicazioni che possono esserle associate, dalle apnee notturne al diabete, ai problemi cardiovascolari".

19. Le prospettive per il futuro in campo terapeutico


Come abbiamo visto, molto è stato fatto per migliorare l'aspettativa e la qualità della vita delle persone con sindrome di Down, rispetto alle singole malformazioni e malattie che possono colpirle alla nascita o nel corso della vita.

Quello che ancora manca è una strategia terapeutica che possa cambiare le cose anche sul fronte della disabilità intellettiva, prevenendola o aiutando a potenziare loro abilità cognitive. Si tratta di un filone di ricerca piuttosto attivo e, come riassume uno studio pubblicato nel 2017 sull'American Journal of Medical Genetics, in varie parti del mondo diversi studi clinici sono già in corso - o partiranno a breve - proprio per valutare la sicurezza e l'eventuale efficacia di alcune molecole rispetto a questi obiettivi.

Una delle sostanze più promettenti in questo senso è il bumetanide, un farmaco diuretico utilizzato da più di cinquant'anni e giunto alla ribalta nell'ambito degli studi sulla sindrome di Down grazie al lavoro dell'équipe di Laura Cancedda, ricercatrice senior dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova e dell'Istituto Telethon Dulbecco. Da diversi anni Cancedda e collaboratori studiano nei topi i meccanismi molecolari alla base della sindrome di Down, nel tentativo di capire in che modo la trisomia del cromosoma 21 provoca tutti i problemi che ben conosciamo. Nel corso di questi studi, i ricercatori hanno scoperto un aspetto molto particolare del funzionamento del cervello degli animali con la sindrome e cioè il fatto che c'è un'eccessiva eccitazione delle sinapsi, le zone di comunicazione tra singole cellule nervose.

"Non solo: abbiamo anche scoperto che, sempre nei topi con la sindrome, il diuretico bumetanide è in grado di ridurre questa eccessiva eccitazione nervosa, e che gli animali che lo ricevano mostrano un recupero delle capacità cognitive e in particolare un miglioramento della memoria" spiega la studiosa. Da qui all'idea di provare a sperimentare il farmaco anche nelle persone con la sindrome il passo è stato breve. Ottenute le necessarie autorizzazioni (il che ha richiesto un certo tempo), uno studio clinico dovrebbe partire presto presso l'Ospedale Bambino Gesù di Roma, con il coordinamento clinico di Stefano Vicari.

"Il farmaco sarà somministrato a un gruppo di adolescenti con la sindrome" afferma Cancedda, che negli animali ha ottenuto ottimi risultati proprio con gli adulti.

Altre sperimentazioni cliniche su molecole differenti, si va dagli antiossidanti agli antidepressivi, riguardano invece bambini più piccoli (neonati o lattanti), o addirittura donne in gravidanza che sanno di aspettare un bambino con la sindrome di Down. "L'idea scientifica alla base è che si possano ottenere risultati migliori su un cervello ancora in sviluppo" spiega Cancedda. "È un'ipotesi assolutamente valida, ma è anche vero che prima si interviene, maggiore è il rischio di effetti a lungo termine non previsti, proprio perché si interviene su un cervello che si sta ancora formando".

Insomma, prospettive ce ne sono molte - tra l'altro, Cancedda e collaboratori stanno anche lavorando all'ipotesi che il bumetanide possa dare una mano anche rispetto ad alcuni disturbi del sonno delle persone con sindrome di Down - ma per il momento di certezze ancora non ce ne sono.

20. Sindrome di Down: quali sport fare, quali evitare


Lo sport fa benissimo a bambini e ragazzi con la sindrome di Down - compresi quelli che sono stati operati per una cardiopatia congenita - a partire dal fatto che riduce il rischio di obesità e complicazioni collegate. Molti trovano nello sport una grande gratificazione, e un percorso di realizzazione personale che può arrivare anche alla vittoria di medaglie paralimpiche, come nel caso della nuotatrice italiana Nicole Orlando.

"Detto questo, ci sono alcuni sport che sono controindicati perché possono causare traumi a livello del collo, che è un punto debole per le persone con la sindrome di Down per via di un'instabilità del legamento che unisce la testa al collo" spiega Valentini. No, quindi, all'equitazione se prevede dei salti (ma sì all'ippoterapia), alle arti marziali ("si possono fare gli allenamenti ma non i combattimenti"), ai tuffi di testa dal trampolino: "Benissimo invece il nuoto, anche sincronizzato".

21. Le potenzialità e la qualità della vita


"Non si può negarlo: la strada, per una persona con la sindrome di Down e per la sua famiglia, è in salita" afferma Diletta Valentini. "C'è molto da fare, ma se i bambini con questa sindrome sono accolti e accuditi nel modo giusto possono ottenere grandi risultati in termini di autonomia e di realizzazione di sé". Non a caso, Valentini ha una segretaria con la sindrome di Down, Annachiara, che alle famiglie che arrivano in ambulatorio racconta con entusiasmo i suoi successi: un lavoro a tempo indeterminato, la capacità di prendere i mezzi da sola, la gioia di andare in vacanza con le amiche.

Questo "modo giusto" prevede diverse componenti: dall'accettazione da parte della famiglia e della società al sostegno a scuola, da una stimolazione adeguata con riabilitazione e vari hobby (la pittura, la musica...) a un percorso di presa in carico sanitaria che preveda controlli periodici, dall'esistenza di percorsi sull'autonomia a quella di progetti di inserimento lavorativo. E ciascuno (famiglie, istituzioni, associazioni) deve fare la sua parte.

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Aggiornato il 20.03.2020

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