Ognuno deve scegliere liberamente come svezzare il proprio bambino. Ci sono però dei vantaggi e degli svantaggi da tenere in conto quando si parla di autosvezzamento. Paola Sgaramella, pediatra dell'IRCCS Ospedale San Raffaele, spiega quali sono
Molto lontano dalle tradizionali pappe di mais e tapioca o di farina di riso, è arrivato anche in Italia l'autosvezzamento. Secondo questa pratica il bimbo deve poter mangiare il cibo che viene offerto in tavola a seconda dei suoi gusti e dei suoi tempi. A spiegare vantaggi e svantaggi di questo nuovo modo di introdurre i cibi solidi è Paola Sgaramella, pediatra dell'IRCCS Ospedale San Raffaele.
Guarda il video: vantaggi e svantaggi dell'autosvezzamento
1. Che cos'è l'autosvezzamento?
Secondo la pratica dell'autosvezzamento è il bambino che, quando si sente pronto, decide che cosa mangiare e con che tempi mangiare utilizzando il cibo che viene offerto in tavola e che viene consumato dai genitori.
2. Ci sono problemi particolari riguardo alle allergie?
Per quanto riguarda i rischi di allergie, l'autosvezzamento non espone a rischi aggiuntivi. Ovviamente, bisogna attenersi a quanto previsto in fatto di alimentazione infantile e offrire cibi non elaborati, come sughi con fritti o a base di pesce o funghi, cibi che comunque i bimbi possono consumare a partire dai due anni di età.
L'autosvezzamento può essere adottato da tutti i bambini: quelli allattati esclusivamente al seno, quelli che assumono anche latte artificiale o quelli allattati solo artificialmente. I tempi dello svezzamento variano da bambino a bambino: è bene iniziare quando è in grado di mantenere il capo eretto, di stare seduto e non ha più il riflesso di protrusione della lingua che gli era fondamentale durante l'allattamento. Quindi, per ogni bambino è un momento che varia, ma che sicuramente non si verifica prima dei sei mesi.
Di sicuro, il fatto che il bambino consumi il pasto insieme ai propri genitori e che dunque viva con loro un momento di convivialità. In più, tramite l'autosvezzamento, viene valorizzata la sua autonomia e la sua autostima, perché è lui stesso chiamato a decidere che cosa mangiare e quando farlo. Un altro vantaggio è il fatto che non si debba preparare un cibo diverso per il bimbo, rendendo di fatto più comodo andare a fare la spesa e organizzare i pasti durante la giornata.
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5. Quali, invece, possono essere i problemi legati a questa scelta?
L'autosvezzamento sarebbe una modalità di svezzamento ottimale se le famiglie italiane si nutrissero in maniera sana ed equilibrata. Perché bisognerebbe che seguissero la stagionalità degli alimenti, acquistando cibi freschi, non precotti e non surgelati, e poi dovrebbero evitare di utilizzare il sale. C'è da dire, però, che questo è poco compatibile con la realtà di quello che accade quotidianamente sulle tavole delle famiglie italiane.
6. Qual è dunque la scelta migliore?
Credo sostanzialmente che l'autosvezzamento non sia controindicato per nessuno. Ognuno deve poter scegliere in base alle proprie opinioni e alle caratteristiche di stile familiare come gestire l'alimentazione del proprio bimbo. Leggi anche Svezzamento o autosvezzamento, le due visioni a confronto
QUANDO E' IL MOMENTO GIUSTO PER INIZIARE
Secondo l'OMS, bisognerebbe aspettare i sei mesi compiuti prima di introdurre altri cibi oltre il latte nella dieta del bambino: un'indicazione fatta propria anche dal nostro Ministero della Salute. Sulla stessa linea si colloca la Società europea di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica, che riconosce i sei mesi come momento ideale, suggerendo comunque di rimanere in una finestra compresa tra i quattro e i sei mesi. Per l'Accademia americana di pediatria, il bambino dovrebbe bere solo latte per i primi 4-6 mesi.
Se i sei mesi del bambino sono indicati come il momento migliore per fargli provare nuovi alimenti, questo non significa infilargli in bocca il cucchiaino con la pappa allo scoccare del “complemese”. Lo svezzamento non deve essere un'imposizione: meglio aspettare che il piccolo manifesti interesse per il cibo. Il che di solito accade appunto intorno ai sei mesi, ma per qualcuno può avvenire prima o dopo.
QUALI I SEGNALI PER CAPIRE SE E' PRONTO.
Per prima cosa, il piccolo deve essere in grado di stare seduto senza aiuto sul seggiolone, con la testa ben dritta. In secondo luogo, deve mostrare interesse per il cibo e – se si decide per l'autosvezzamento - essere capace di afferrarlo. Infine, deve saper deglutire gli alimenti. Se sputa o spinge fuori il cucchiaio non è pronto, perché non ha ancora perso quel riflesso che lo porta a tirare fuori la lingua per succhiare al seno o al biberon.
LO SFORZO O NO? VISIONI DIVERSE.
Nella grande maggioranza dei casi, i bambini cominciano a cercare e ad accettare l'introduzione di nuovi alimenti intorno ai sei mesi. Se il tempo passa e questo non accade c'è il rischio che vadano incontro a carenze di alcuni micronutrienti come ferro e zinco. Questo vale soprattutto per i piccoli allattati al seno, perché il latte di mamma scarseggia di queste sostanze.
Secondo i pediatri che propongono lo svezzamento tradizionale, per evitare il rischio di carenze dopo il settimo mese del bambino bisogna insistere con maggior decisione, arrivando a forzarlo un pochino, anche se lui non sembra interessato. Per Lucio Piermarini questo non è necessario: “Per i pochi bambini che dopo i sette-otto mesi ancora non vogliono saperne di mangiare, il pediatra può consigliare un integratore di ferro o sali minerali”.
DIFFERENZE PER CHI E' ALLATTATO AL SENO O BEVE LATTE ARTIFICIALE?
Cambia qualcosa se è stato allattato al seno o no? No, non cambia nulla: le indicazioni previste dagli organismi internazionali valgono per entrambe le situazioni. Spesso si tende ad anticipare lo svezzamento dei bambini nutriti con latte formulato, ma non ce n'è bisogno, perché questo alimento contiene tutto il necessario. Al massimo, considerato che il latte artificiale ha sempre lo stesso sapore, dal quinto mese si può proporre al bambino qualche piccolo assaggio di verdura cotta e passata, per abituarlo a gusti nuovi.
C'E' IL RISCHIO CHE SI STROZZI CON L'AUTOSVEZZAMENTO?
È una delle preoccupazioni principali dei genitori, soprattutto se alle prese con l'autosvezzamento. Per fortuna, bastano pochi accorgimenti per ridurre al minimo questa possibilità.
Per prima cosa, il bambino deve essere pronto: deve stare seduto e saper deglutire. Se qualcosa gli va di traverso, nella grande maggioranza dei casi sa cavarsela da solo, ma comunque non va mai lasciato solo durante i pasti, anche per controllare che non si infili in bocca troppo cibo. E mentre si mangia non si fanno altre attività, tipo correre o giocare.
Alcuni cibi sono più a rischio di altri: per esempio quelli piccoli, lisci e tondeggianti come arachidi, chicchi d'uva, pomodorini, olive, nocciole, oppure quelli appiccicosi, come un boccone troppo grosso di prosciutto crudo, o quelli sodi o filamentosi come carota e finocchio (crudi). In questi casi, basta presentarli in modo adatto, rompendoli, cuocendoli o spezzettandoli.
COSA FARE SE RIFIUTA IL CIBO.
Niente panico. All'inizio è la norma, sia con svezzamento tradizionale sia con autosvezzamento. Magari il bambino sembra interessato, ma poi si limita a giocare con la pappa. Può darsi che sia ancora presto: se dopo qualche giorno di tentativi i rifiuti continuano, meglio riprovare più avanti.
Altre volte, invece, è solo una chiusura nei confronti della novità: qui la soluzione è proporre più volte lo stesso alimento per qualche giorno di fila: ci vuole più di un assaggio per "educare" il gusto del piccolo. Un consiglio: l'atteggiamento di chi propone il cibo deve sempre essere positivo, tranquillo e giocoso. Il momento del pasto deve essere sereno e rilassato, non fonte d'ansia e di agitazione.
COSA FARE SE SALTA UN PASTO O MANGIA POCO.
Capita: a volte, il bambino non mangia, non vuole proprio saperne, anche se lo svezzamento è già iniziato. Ebbene, nessuna paura: è tutto normale e il piccolo mangerà al pasto successivo.
Stesso suggerimento se la preoccupazione è che il bambino mangi poco. “Spesso questo timore deriva da un nostro errore di valutazione" spiega Silvia Scaglioni. "Ci sembra che il bambino mangi poco, ma effettivamente ha bisogno di poco: tra i sei mesi e un anno un pasto dovrebbe comprendere 20 grammi di cereali, 20 grammi di carne fresca, 30 grammi di verdura".
Se il bimbo è sereno e i controlli periodici dal pediatra dicono che cresce in modo regolare, inutile farsi problemi, anche se non è un mangione.
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QUAL E' IL PRIMO CIBO IN GIAPPONE?
Mariko ha cinque mesi ed è alle prese con la sua prima pappa, l'okayu, una specie di porridge di riso, preparato con riso cotto a lungo nell'acqua. In Giappone si comincia così: con un cucchiaino al giorno d'okayu “liscio”, che diventano tre o quattro cucchiaini in poche settimane. Nel frattempo, si introducono anche verdure lessate e ridotte a purea, pesce sminuzzato o tofu schiacciato. E per bevanda, un brodo leggero di alghe o il tè mugicha, a base di orzo tostato.
E IL PRIMO ASSAGGIO IN TOGO?
Dall'altra parte del mondo, in Togo, anche Desirée, poco più di quattro mesi, sta provando il suo primo cibo solido: un bocconcino di polenta di mais bianco. Per ora le viene offerto così, semplice, ma presto lo proverà intinto nel sugo delle verdure o della carne che costituiscono il pasto dei suoi genitori.
IN TUTTO IL MONDO SI PARTE DAI CIBI TIPICI
Due esempi distanti nello spazio, ma che raccontano bene come funziona lo svezzamento in altri paesi, quando non si utilizzano prodotti speciali per l'infanzia, come farine lattee o omogeneizzati. Come racconta Sara Honegger nel libro Un mondo di pappe, il principio di base è sempre lo stesso: si parte dagli alimenti tradizionali del posto, adattati per i più piccoli.
IL PRIMO ASSAGGIO SPESSO E' LA FRUTTA
In genere il primo assaggio è la frutta: mela, pera, banana, ma anche mango o papaya. Poi arrivano le pappe: con riso in Oriente, miglio o mais bianco in Africa, avena in Brasile e in Irlanda, couscous nel Maghreb. Specialmente in Africa e in America latina, al posto dei cereali si possono trovare tuberi come la patata, le patate dolci, la tapioca. A queste si aggiungono poco a poco le verdure schiacciate e una fonte di proteine: un po' di carne, legumi secchi in Medio Oriente, pesce e tofu in Asia, formaggio morbido nell'Europa dell'Est. Nessun altro paese sembra avere la tradizione del brodino vegetale tipica dell'Italia.
OVUNQUE SI INIZIA TRA IL QUARTO E IL SESTO MESE
Nella maggior parte dei casi, l'assaggio della prima pappa arriva tra il quarto e il sesto mese, e non si tratta di una novità recente. Secondo i dati raccolti dall'antropologo David Sellen per diverse popolazioni tradizionali attuali (per esempio gruppi di cacciatori-raccoglitori che ancora vivono in certe foreste) o di epoca preindustriale, l'età media di introduzione di alimenti diversi dal latte è di 4,5-5 mesi. Attenzione, però, questo non significa che il latte - tipicamente materno in queste popolazioni - venga abbandonato così presto: un conto è l'introduzione di alimenti complementari, un altro è la fine dell'allattamento, che avviene in genere intorno ai tre anni.