Nei bambini piccoli, difficoltà ad individuare le lettere dell'alfabeto sono spesso un segnale che riconduce a possibili problemi nello sviluppo delle abilità di lettura e scrittura. Tali complicazioni però non possono essere verificate che dopo i 3/5 anni di vita del piccolo.
Come fare dunque a conoscere eventuali problematiche prima che sopraggiunga l'età scolare?
Una risposta in tal senso potrebbe provenire una ricerca comparsa ad ottobre su PLOS ONE.
Secondo questo studio presentato da un'equipe di esperti coordinata dal Dottor Kelly Farquharson (Florida State University), infatti, la produzione precoce da parte di un infante di suoni e versi complessi - dunque emessi per un preciso scopo comunicativo - potrebbe essere un importante indicatore per future capacità di lettura.
L'esperimento
Per testare tale teoria, gli scienziati si sono avvalsi di un campione di nove bimbi, americani ed anglofoni, tra i 9 e i 30 mesi d'età.
Questi giovanissimi soggetti sono stati registrati mentre interagivano con degli adulti emettendo versi, parole e vocalizzazioni sulla base di segmenti comunicativi tarati sul consonant-vowel (CV) ratio, un metodo scientificamente valido per misurare la complessità del parlato.
I bimbi sono poi stati ricontattati dal team di ricerca una volta compiuti i sei anni d'età per essere sottoposti ad alcune prove d'identificazione delle lettere, che come già detto rimane uno dei sistemi verificati più attendibili per predire eventuali problemi nella lettura.
È così emerso che quei bambini che anni prima avevano mostrato utilizzati "versi" e parole più complesse, erano anche coloro i quali avevano ottenuto le migliori prestazioni nei test di riconoscimento delle lettere!
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«Questa ricerca fornisce elementi interessanti a supporto di una precoce e solida connessione tra la produzione di parole e future abilità di lettura - ha affermato Farquharson - . Vi è un'utilità scientifica in questo lavoro, poiché ci avviciniamo a stabilire sistemi di misura comportamentale che potrebbero aiutarci ad identificare prima i problemi nella lettura».
Gli stessi autori però vanno cauti con le conclusioni. Il campione sul quale è stato effettuato lo studio è troppo esiguo per supportare una tesi universalmente accettata, ma i risultati incoraggianti potrebbero davvero portare a realizzare indicatori più accurati nella diagnosi di disturbi o difficoltà nell'apprendimento.
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