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Coronavirus, cosa possono fare i genitori per non allarmare i più piccoli

di Sveva Galassi - 23.02.2020 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Aumentano in queste ore i casi di contagio da coronavirus nelle regioni dell'Italia settentrionale. Come comportarsi con i più piccoli? Cosa dire loro per non allarmarli? Ecco il punto di vista di Daniele Novara , pedagogista, autore e direttore del Centro Psicopedagogico per l'educazione e per la gestione dei conflitti (CPP).

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In queste ore la situazione è davvero strana e difficile: si registrano sempre più casi di coronavirus nelle regioni dell'Italia settentrionale. Molte scuole nei prossimi giorni saranno chiuse e i bambini resteranno a casa con i genitori, i quali dovranno per forza organizzarsi. Come comportarsi con i più piccoli? Ecco il punto di vista di Daniele Novara, pedagogista, autore e direttore del Centro Psicopedagogico per l'educazione e per la gestione dei conflitti (CPP).

Coronavirus, come comportarsi con i bambini

Le parole di Daniele Novara al riguardo sono le seguenti: «I genitori si pongono domande e non è sempre facile avere risposte scientifiche e comunque attendibili. È facile cadere nell'enfasi emotiva che non aiuta i più piccoli a vivere in questa inedita situazione.

Essere bambini vuol dire, a differenza dell'essere adolescenti, dipendere quasi totalmente dai genitori. È una condizione particolare che nel corso della vita non si ripeterà più. Pertanto la prima evidenza è che per qualsiasi vicenda i bambini e le bambine vivono gli stati emotivi dei loro genitori, sono estremamente permeabili alle loro ansie e paure, alle loro inquietudini.

Allo stesso tempo la presenza dei genitori è un elemento rassicurante; valgono ancora i famosi studi di Donald Winnicott: durante i bombardamenti tedeschi su Londra nella seconda Guerra Mondiale, quando i bambini meno traumatizzati furono quelli che restarono nei rifugi con i genitori piuttosto che quelli che furono allontanati dai genitori per andare in speciali strutture lontano dalla città. Il genitore educativo è quello che mantiene una presenza senza che questa presenza assuma contorni allarmanti e ansiogeni.

I bambini vivono il restare in casa come un'esperienza ludica di vacanza. È importante che i genitori non li coinvolgano in discorsi fuori dalla loro portata o li espongano a informazioni televisive o digitali che sono di difficile gestione anche per gli stessi adulti specialmente quando compare il tema della morte (che a partire dal quinto anno di vita il bambino è in grado di cogliere e di comprendere come perdita definitiva).

Qualche genitore e insegnante, incautamente come già capitato per il Giorno della Memoria con bambini di 7, 8 e 9 anni, pretende di coinvolgerli come se fosse possibile a un soggetto con capacità cognitive e un pensiero reversibile molto scarso di cogliere la complessità della situazione. Si rischia solo di creare angoscia che poi i figli piccoli non sono in grado di rielaborare sul piano psicologico e cognitivo.

Fino a 6, 7 anni si può tranquillamente dire che per alcuni giorni i bambini non andranno a scuola, non è necessario spiegare in maniera dettagliata i motivi.

Per quelli più grandi, a partire dagli 8 anni quando il pensiero è un po' più formato, si può segnalare la presenza di una malattia che dobbiamo evitare e quindi ognuno resta a casa sua.

Infine occorre fare attenzione anche all'eccesso di rassicurazioni, esiste una comunicazione diretta e una comunicazione subliminale. Spesso gli adulti finiscono col trasmettere le loro preoccupazioni quasi che tranquillizzare i bambini diventasse un modo per tranquillizzare se stessi.

Le comunicazioni dovrebbero essere molto asciutte e limitate, qual tanto che basta per dire ai più piccoli come sarà la loro vita: non andranno a scuola, staranno in casa, potranno fare dei giochi, fare un po' di compiti, leggere ed eventualmente incontrare in casa altri bambini.

Insomma, in educazione è sempre meglio comunicare ai figli ciò che faranno o devono fare piuttosto che dare "spiegoni" eccessivi. I bambini come sempre sono quelli che ce la fanno meglio di tutti».

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