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Esposizione al DDT in gravidanza e rischio di autismo: che legame c'è

di Valentina Murelli - 03.09.2018 - Scrivici

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Fonte: Lucidio Studio, Inc. / Alamy / IPA
Per la prima volta, uno studio mostra un'associazione significativa tra i livelli di un sottoprodotto del DDT nel sangue di donne in gravidanza e il rischio dei loro bambini di sviluppare autismo. Ma sul tema c'è ancora molto da chiarire

In questo articolo

In gran parte del mondo, l'uso del DDT è vietato da più di trent'anni, eppure questo insetticida è ancora tra noi.

Dal suolo, dove si è accumulato in abbondanza negli anni del suo impiego, continua a finire in piante e animali che se ne cibano e, da qui, perfino nel nostro organismo, tanto che tracce di un suo sottoprodotto, il DDE, sono ancora presenti nel sangue di persone che pure vivono in zone in cui non si utilizza più.

Ora i risultati di uno studio pubblicato sull'American Journal of Psychiatry mettono in relazione elevati livelli di DDE nel sangue di donne in gravidanza con un aumento del rischio dei loro bambini di sviluppare un disturbo dello spettro autistico.

Lo studio


Lo studio nasce da una collaborazione tra lo psichiatra ed epidemiologo americano Alan Brown, della Columbia University di New York, e alcuni colleghi finlandesi.

Insieme, i ricercatori hanno per prima cosa identificato un gruppo di circa 800 persone nate tra il 1987 e il 2005 alle quali, da bambini, è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. Poiché in Finlandia c'è una sorta di mega-registro che dal 1983 raccoglie i campioni di sangue donne incinte, il secondo step è stato analizzare il sangue delle mamme di questi bambini alla ricerca di derivati di due sostanze: il DDT e i PCB (policlorobifenili, utilizzati in elettronica e in materiali da costruzione, anch'essi vietati da tempo). Infine, questi dati sono stati confrontati con quelli relativi ai campioni di sangue delle mamme di altrettante persone nate nelle stesse zone e nello stesso periodo, ma senza alcun disturbo dello sviluppo.

I risultati


Il confronto parla chiaro: le mamme con livelli più elevati di DDE nel sangue avevano un rischio maggiore di avere bambini che avrebbero manifestato autismo. E tanto più elevati erano questi livelli, tanto maggiore era il rischio di un disturbo grave (con ritardo cognitivo) del bambino.

Ma attenzione: questo non significa che il DDT causi l'autismo. Come hanno sottolineato gli autori dell'indagine – e vari esperti che l'hanno commentata – questi risultati indicano soltanto un'associazione tra elevati livelli di questo pesticida e rischio di sviluppare il disturbo, e dire che due cose sono associate non significa dire che una causi l'altra.

Per capire se davvero esista un rapporto causa effetto bisognerà per prima cosa confermare questi risultati con altri studi e poi individuare con chiarezza un meccanismo biologico alla base del fenomeno. Brown e colleghi per il momento avanzano due ipotesi.

Primo: altri studi hanno mostrato che l'esposizione al DDT in gravidanza può causare basso peso alla nascita e parto prematuro, entrambe condizioni che aumentano il rischio di autismo. Secondo: potrebbe essere coinvolta un'alterazione della regolazione degli ormoni androgeni come il testosterone, considerato che il DDT può legarsi a molecole che riconoscono questi ormoni, e che alcune teorie indicano proprio alterazioni di questo tipo tra le possibili cause di autismo. Come dicevamo, però, è ancora tutto da dimostrare.

Cosa fare?


Che fare, dunque, di un'informazione di questo tipo? Di nuovo, sia gli autori dello studio sia i commentatori hanno le idee chiare: non bisogna fare allarmismo.

L'aumento del rischio di autismo in caso di esposizione al DDT è significativo, ma a livello individuale il rischio rimane comunque molto basso: la grande maggioranza delle donne che in gravidanza avevano elevati livelli di DDE nel sangue hanno comunque avuto figli senza alcun disturbo.

D'altra parte, anche se venisse confermato un ruolo del DDT nell'insorgenza di autismo, difficilmente sarebbe un ruolo da protagonista assoluto: più probabilmente si tratterebbe di un co-protagonista che avrebbe comunque bisogno di altri fattori di tipo genetico per determinare lo sviluppo della condizione.

Tuttavia, se questi dati saranno confermati, sarà una ragione in più per costringere la società tutta a interrogarsi seriamente sulla questione dell'inquinamento ambientale, che tanto è legato allo stato della nostra salute.

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